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Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia

Ricordo distintamente bene quello che stavo facendo la mattina del 14 agosto di un anno fa. Ero a casa a pranzare con un caro amico prima di andare a passare un pomeriggio al mare, seppur il tempo non fosse dei migliori per essere quasi ferragosto. Mentre tutto trascorreva nella tranquillità, e la televisione faceva da sottofondo alla scena, una notizia dell’ultim’ora interrompeva il nostro pranzo: il ponte Morandi è crollato improvvisamente. Non si sa come sia potuto accadere, non si sa quante persone siano rimaste coinvolte, non si sa nemmeno l’entità del danno, dato l’enorme diluvio che si stava abbattendo su Genova in quelle ore.

Io, da addetto al settore, e il mio caro amico, collega ingegnere civile, ci poniamo con aria incredula la stessa domanda: come può nel 2019 crollare improvvisamente un ponte? Passammo le ore successive alla notizia a dibattere sulle possibili cause, passando da un telegiornale all’altro, cercando notizie sul web, ancora increduli davanti alle immagini che man mano diventavano sempre più chiare e crude, mentre il numero delle vittime cresceva inesorabile. Dopo un anno ancora non sappiamo come il ponte Morandi sia crollato, eppure in un anno è cambiato tutto, o forse non è cambiato niente.

Ci vuole rispetto

Quello che purtroppo spesso non è stato sottolineato è come il ponte Morandi fosse un’opera ingegneristica all’avanguardia per gli anni ’60. L’ingegner Morandi fu una mente eccelsa e dotate di grande critica, come testimoniano i tanti scritti tecnici ormai reperibili online, nei quali è possibile osservare la precisione di disegni e calcoli effettuati esclusivamente a mano, con considerazioni lucide e lungimiranti.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
L’intero progetto è stato realizzato così, carta e penna. PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Realizzare un’opera complessa come il viadotto Polcevera senza il supporto di software agli elementi finiti sembra oggi praticamente impossibile, e per questo il lavoro dell’ingegner Morandi deve essere rispettato e preservato dallo sciacallaggio mediatico a cui è stato ingiustamente sottoposto quest’anno. Solo una volta capita l’importanza dell’opera è possibile criticarla e cercare cause, colpe e soluzioni, senza però ergersi a santoni dell’ingegneria, nel rispetto delle 43 vittime e di una città ancora oggi in ginocchio.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Lo schema del ponte

Il ponte Morandi era una struttura strallata in calcestruzzo armato e calcestruzzo armato precompresso. Una delle idee più all’avanguardia del progetto era la decisione di realizzare gli stralli in c.a.p, tecnica brevettata da Morandi stesso e utilizzata poi in altre opere sparse per il mondo, rivelatasi però successivamente troppo ottimista. Morandi infatti fu un grande estimatore del cemento armato, che negli anni ’60 veniva considerato un materiale eterno, quasi indistruttibile e soprattutto dal lento degrado, come testimonia anche gran parte dell’edilizia realizzata proprio nel Dopo Guerra. Il ponte Morandi era una struttura perfettamente equilibrata e simmetrica: questo non solo restituiva un’immagine elegante e sinuosa del ponte, ma permetteva specialmente un percorso dei carichi lineare e senza deviazioni.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
Una delle antenne del ponte Morandi nei primi anni di vita. PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Gli elementi più importanti del ponte erano i tre cavalletti in cemento armato “bilanciati”, alti 90 metri ciascuno, che reggevano due coppie di stralli. Ogni cavalletto era composto da due strutture distinte: una a forma di H (in giallo), che aveva il compito di reggere la parte centrale dell’impalcato (luce di 41 metri), e poi l’antenna a forma di A (in rosso), indipendente dall’altra struttura, che aveva il compito di sostenere gli stralli che a loro volta reggevano le estremità dell’impalcato. In questo modo si configurava uno schema statico su 4 appoggi perfettamente equilibrato, che permetteva di coprire una luce totale di 200 metri, una distanza enorme per una struttura in cemento armato.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
Il ponte era formato da 5 parti distinte, ognuno indipendente e perfettamente equilibrato. PH: wikipedia.it

A completare il ponte c’erano 6 cavalletti a V in cemento armato (in viola), che sostenevano selle Gerber (in blu) composte da sei travi prefabbricate in c.a.p. lunghe 36 metri. In questa maniera ogni struttura era indipendente dalle altre e ognuna isostatica, ma questo ha rappresentato anche il più grande difetto dell’opera: se il crollo della pila 9 ha scongiurato che le altre parti del ponte venissero giù con essa, una piccola perdita di equilibrio nello schema statico della pila 9 è stato fatale e ha fatto crollare questa parte del ponte come un castello di carte.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Come è stato costruito il ponte

Le fasi di costruzione del ponte rappresentano un altro fiore all’occhiello dell’ingegner Morandi. L’antenna ad A e il cavalletto ad H sono stati costruiti per primi con normale procedura tramite l’ausilio di ponteggi tubolari e di casseforme metalliche: le azioni flettenti dovute all’inclinazione delle aste del cavalletto venivano sopportate dalle aste stesse purché ovviamente opportunamente indurite.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Le aste dei cavalletti sono state poi collegate superiormente tra di loro da tiranti in acciaio per indurre deformazioni contrarie a quelle subite per effetto del peso proprio. Successivamente poi si è proceduto al getto della parte centrale dell’impalcato sorretto dal cavalletto.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
Le prime fasi di costruzione del ponte. PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Il resto dell’impalcato è stato costruito per conci tramite l’ausilio di due speciali carrelloni su ruote e rotaie. Una volta gettati e induriti i singoli conci, essi erano retti da appositi cavi provvisori ad altissima resistenza tesati a circa 2 metri di altezza dall’impalcato stesso, questo per resistere alle azioni di flessione e taglio derivanti dal fatto che ogni concio risultava a sbalzo rispetto al precedente. I cavi, tesati fino a 9000 kg/cmq, venivano poi successivamente eliminati uno alla volta.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
Le prime fasi di costruzione del ponte. PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Una volta indurito l’ultimo concio e gettato l’ancoraggio, si è proceduto poi alla realizzazione dei tiranti, costituiti da 352 trefoli ciascuno e tesati inizialmente fino a 976 kg/cmq; la tesatura ha provocato la predeformazione dell’impalcato, che negli estremi si è alzato di 23,6 cm, quota poi azzerata una volta gettate le rimanenti parti dei cassoni. Sono state poi gettate le mensole alle estremità dell’impalcato e tesati i cavi definitivi alla tensione di esercizio di 11585 kg/cmq.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
Le ultime fasi di costruzione del ponte. PH: Pagina Facebook Morandi&Ingegneria

Perché il ponte è crollato?

Purtroppo ancora oggi non abbiamo una risposta definitiva a questa domanda, nonostante gli ultimi video rilasciati dalla Guardia di Finanza farebbero intuire un cedimento improvviso dello strallo sud della pila 9. Sono tante poi le ricostruzioni del crollo realizzate da diversi studi condotti in giro per il mondo (qui tutto sul ponte Morandi) e la maggior parte di loro, tramite l’analisi dei detriti e la loro posizione sul terreno, definiscono come causa del crollo del ponte proprio il cedimento di uno strallo, che ha portato come conseguenza elevate sollecitazioni torsionali sull’antenna, non più in equilibrio e non in grado di resistere a queste azioni, e quindi al crollo dell’intera pila 9.

https://www.facebook.com/morandibridge/videos/370917096919330/

Quello che è sicuro è che il ponte ha mostrato problemi già poco tempo dopo la sua inaugurazione. Progettato per avere una vita nominale di 50 anni, la resistenza al degrado è stata eccessivamente sovrastimata: fu lo stesso Morandi, ad inizio degli anni ’80, a chiedere seri interventi di manutenzione a causa dell’eccessivo degrado del cemento e dei cavi metallici, causati della brezza marina e dai fumi corrosivi delle vicine acciaierie. Altro aspetto evidenziato furono i fenomeni di viscosità del calcestruzzo, ancora oggi in realtà abbastanza sconosciuti, che, data la grande quantità di materiale, causarono elevate flessioni nell’impalcato, successivamente sottoposto a diversi correzioni di livelletta. Molto dibattuto è stato il cambiamento nella tipologia di traffico che il ponte ha sopportato nei suoi 50 anni di vita. Tra chi crede che, seppur sottoposto a carichi maggiori, il ponte era in grado di sostenerli, e chi pensa che siano stati proprio i fenomeni di fatica ad indebolire irrimediabilmente il ponte, alcuni dati sono oggettivi: il traffico era quadruplicato rispetto al precedente trentennio, il numero di mezzi pesanti era aumentato, gli interventi di rifacimento del manto stradale e l’installazione dei new jersey hanno aggiunto sovraccarichi non previsti dal ponte.

https://www.facebook.com/morandibridge/videos/366260440724126/

In tutto questo gioca un ruolo centrale la manutenzione, ed è proprio qui che arriva il paradosso di questa opera: la manutenzione è stata contemporaneamente sia scarsa che eccessiva. Nel momento esatto in cui si è capito che gli interventi non bastavano più per mettere in sicurezza la struttura, l’unica soluzione possibile, paventata in realtà già da molti professionisti nei primi anni 2000, era esclusivamente la demolizione. Nel 2017 furono messi a bando profondi lavori di rinforzo strutturale delle pile 9 (quella crollata) e 10, ovviamente non più realizzati, ma questi furono solo gli ultimi di dozzine di interventi profondi alla quale fu sottoposto il ponte. Un’opera così ardita ha pagato da sola la propria innovazione, ma purtroppo si è portata con sé anche 43 persone: la colpa, se proprio c’è bisogno di cercare un responsabile, non può essere esclusivamente del progettista, ma di tutte le persone che si sono interfacciate con la costruzione, la realizzazione e la manutenzione del ponte Morandi, perché i responsabili di quello che costruiamo siamo solamente noi stessi.

Il futuro

Ad un anno esatto dal crollo del ponte, esso è stato completamente demolito e al suo posto sorgerà un nuovo ponte ideato dall’archistar Renzo Piano. Il nuovo ponte sarà di tipo a trave, con 22 piloni in cemento armato che sosterranno travi in acciaio di 50 metri di luce, ad eccezione di quelle che attraverseranno il Polcevera e le linee ferroviarie che invece avranno una luce di 100 metri. In totale il ponte sarà lungo 1.100 metri, l’impalcato prevede 4 corsie da 3,45 metri e 2 corsie di emergenza.

Ponte Morandi, a un anno dalla tragedia
Come sarà il nuovo ponte di Genova. PH: architetti.com

In realtà Renzo Piano non sarà direttamente coinvolto nella realizzazione del ponte, che sarà invece a cura di Salini Impregilo e Fincantieri. Il cantiere è appena iniziato e i lavori dovrebbero durare circa 9 mesi: l’obiettivo è di restituire entro la primavera del 2020 un’infrastruttura cruciale non solo per Genova ma per tutta l’Italia nord-orientale.

Un grazie alla pagina Facebook Morandi & Ingegneria per lo splendido materiale che fornisce.