È passato del tempo dai terremoti che hanno colpito la zona circostante l’Etna, accompagnati da una considerevole azione magmatica del vulcano siciliano. Tra le città maggiormente colpite c’è Catania, di cui sono documentati i danni. Salta all’occhio il dato del Rapporto sull’abusivismo edilizio in Sicilia secondo cui l’84% degli edifici abusivi si trova nella zona ad alto rischio attorno all’Etna. Ma c’è di più: 6.600 di questi immobili sono stati destinatari di ordinanze di demolizione impunemente ignorate.
Analizzando gli ultimi dati Istat del 2017, il 19,6% degli immobili in Italia è sprovvisto di titolo abilitativo, con un grosso contributo delle regioni del meridione. L’Abusivismo edilizio non è soltanto evasione fiscale ma comporta notevoli danni al territorio e ai cittadini. La disattenzione dei piani urbanistici distrugge la visione di insieme che la progettazione urbana vuole dare, creando zone di disagio sociale data la conseguente carenza di servizi pubblici e attività. L’incontrastata espansione abusiva avuta dal dopo guerra fino agli anni ’90 ha deturpato moltissimi paesaggi e vedute che caratterizzano ancora oggi la penisola italiana.
Edificare senza permesso di costruire implica inevitabilmente una progettazione approssimativa, sia dal punto di vista architettonico che strutturale. Le NTC 2018 hanno esteso a quasi tutto il territorio italiano l’obbligo di verificare gli edifici anche alle azioni sismiche e le costruzioni abusive, potrebbero essere inadeguate diventando una minaccia per chi le vive e per la sicurezza degli edifici adiacenti. Senza considerare che i servizi sono dimensionati secondo un definito carico urbanistico: i residenti in case abusive infatti rappresentano una domanda inaspettata che rende inadatte le prestazioni offerte dagli enti pubblici.
Molti dei problemi che oggi si vivono nelle città italiane sono dovuti all’abusivismo edilizio o alla costruzione operata senza scrupoli, consentite da amministrazioni affatto illuminate. Il dissesto idrogeologico causato dai cambiamenti climatici è amplificato dalla presenza di fabbricati in luoghi dove era vietato costruire oppure era assolutamente sconveniente farlo. Catania è un esempio di questo scellerato uso di suolo e di costruzione abusiva, perdipiù attuata sull’Etna, vulcano notoriamente attivo alla luce delle frequenti attività magmatiche di natura effusiva.
Il caso Etna porta con se la necessità di focalizzare l’attenzione verso un altro vulcano italiano, il Vesuvio. Quest’ultimo ha alle sue pendici uno tra gli agglomerati urbani più intensi d’Italia e d’Europa. Circa 70 comuni circondano il vulcano silente, tra loro molti sono i più densamente abitati d’Italia con Portici che supera 12.000 ab/km2, più di New York. Questo sovraffollamento congestionante provoca disagio alla popolazione allungando i tempi di spostamento per le strade sia con mezzi privati che pubblici.
L’abusivismo edilizio in queste aree è stato una ferita che il territorio ancora oggi deve curare. La scarsa qualità architettonica e la mancanza di attività e servizi sono solo le cause superficiali; il vero problema è il pericolo cui è soggetta la cittadinanza. La zona è classificata di pericolosità 2, ovvero di rischio Medio-Alto con probabilità di terremoti abbastanza forti. L’inadeguatezza delle abitazioni confermata dall’inadempienza alle regole implica l’alta probabilità di disastro nella vasta area ai piedi del Vesuvio.
Un esempio tutt’altro che lontano temporalmente è il terremoto di Ischia il quale ha causato 2 morti e 42 feriti con danni alle abitazioni. Molte di queste risultano abusive e il caso non è stato indifferente al Governo tanto da inserire un condono edilizio nel cosiddetto “Decreto Genova”. In questo caso si è registrato un terremoto di magnitudo 4.0 (scala Richter) con un’accelerazione che ha toccato 0,8g. Per altri esempi di terremoti avvenuti nel 2018 leggere qui.
Probabilmente l’abusivismo è solo la conseguenza di quella che viene chiamata “Scotomizzazione del rischio Vesuvio”. Con questo termine si definisce la negazione inconscia che un evento disastroso possa accadere o ripetersi. Questo fenomeno è radicato nella cultura anche folcloristica del luogo, in cui ogni anno si celebrano processioni religiose per alleviare la paura delle persone e ricordare come il santo protettore abbia difeso in passato la popolazione. I cittadini sono consapevoli dal fatto che il Vesuvio sia un vulcano attivo, ma lo considerano come un amico, o meglio un nemico silente che non fa del male.
Pensare che le cose non possano accadere porta soltanto a non valutare con mente lucida i fatti. Il piano di evacuazione redatto, da molti considerato inefficace, dà l’idea che tutto sia sotto controllo ma la realtà è che un programma realizzato solo da tecnici e politici, senza un dialogo con le persone che abitano la zona e con antropologi, non adempie al suo compito: informare e preparare la popolazione all’evento.
Il territorio a rischio nel piano di evacuazione è stato diviso in zona rossa e gialla: la prima comprende, nella versione aggiornata, 25 comuni, la seconda 63 toccando Napoli e la penisola sorrentina. Sul sito della Protezione Civile sono indicati tutti i procedimenti atti a sgomberare la zona. Sapendo che l’area interessata è così ampia, come è stato possibile permettere una tale costruzione, spesso non controllata? Troppo tardi è stata emanata la legge 431 del 1985, per la quale i vulcani sono area inedificabile. Tuttavia il fenomeno da quel momento non si è arrestato e i condoni del ’95 e del 2003 hanno legalizzato gran parte degli edifici abusivi, come nel caso di Torre Annunziata.
Un’altra critica che viene fatta al piano di evacuazione riguarda lo scenario in base al quale questo è stato fatto. È stato ipotizzato, infatti, che l’eruzione debba essere Sub-pliniana, ovvero uno scenario medio rispetto al massimo possibile individuato nell’eruzione pliniana del 79 d.C. . È poco prudente dimensionare i servizi, i soccorsi e le infrastrutture in base allo scenario medio, perché non è affatto quello più plausibile. Esistono studi importanti che convergono nell’individuare come prossima eruzione una pliniana che provocherebbe anche l’apertura di nuove bocche.
Di seguito è riportata un’intervista video al prof. Dobran sul tema.