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Acquedotti romani: perché hanno resistito così tanto

Come hanno fatto acquedotti romani di duemila anni fa ad essere ancora oggi quasi intatti? Il segreto della composizione.

Molti hanno cercato di dare una risposta a questo dilemma e pare che il segreto sia stato finalmente svelato. Infatti, dietro alle ottime condizioni di costruzioni di duemila anni fa ci sarebbe la costruzione a base di calce viva che sarebbe in grado di autoripararsi in caso di formazione di crepe.

Roma è considerata sicuramente la civiltà dell’acqua e, nonostante il popolo vanti la presenza di innumerevoli costruzioni imponenti, quella degli acquedotti fa parte delle più grandi opere pubbliche.

Le spiccate doti di architettura ed ingegneria conferivano alla popolazione romana un’immagine di progressione e di potere (modalità di propaganda anche per l’imperatore stesso).

Gli studi a Pompei e in Algeria hanno dimostrato che gli acquedotti non erano presenti in tutte le città romane. Questo perché i cittadini si rifornivano di acqua grazie a delle cisterne pubbliche o pozzi. Tuttavia, alcune città necessitavano di maggiore acqua rispetto a quella messa a disposizione per fontane pubbliche, terme e spettacoli.

Le grandi costruzioni di acquedotti dei romani

Circa duemila anni fa Roma riuscì a contare dodici acquedotti grazie alle nuove inaugurazioni dei vari imperatori. In questo modo, la città erano in grado di fronteggiare il bisogno di una maggiore fornitura di acqua. Oltre a ciò, Roma vantava anche una rete fognaria completa per lo smaltimento di acque inquinate. Questi acquedotti sono esistenti ancora adesso. Ma è necessario specificare che sono strutture in condizioni che non ricondurrebbero alla costruzione degli stessi a più di duemila anni fa.

Proprio per questo, è stato condotto uno studio da un docente di ingegneria civile e ambientale al Massachusetts Institute of Technology, Admir Masic. Nello specifico, egli ha spiegato che da almeno cinque anni sta studiando il calcestruzzo romano. La sua indagine nasce da un interesse nei confronti delle magnifiche condizioni che tutt’ora mantengono strutture come il Pantheon, il Colosseo, ma anche porti, acquedotti, ponti e terme.

Pont du Gard in Francia (Pixabay FOTO) – www.buildingcue.it

Il segreto che si cela dietro al cemento romano

Lo studioso Masic ha condotto un’indagine sul cemento romano per riuscire a comprendere come facciano acquedotti costruiti in un’epoca troppo lontana ad essere ancora in piedi e “in salute”. Egli ritiene che il segreto sia tutto nell’hot mixing, ossia una procedura che prevede l’aggiunta di calce viva al calcestruzzo. Il contatto della calce con l’acqua riscalderebbe poi la miscela. Questo particolare processo permetterebbe la formazione di granelli di calce che, di conseguenza, si occupano dell’autoriparazione della struttura.

Masic ha fornito un esempio sulle strutture costruite ai giorni nostri: «Quando il calcestruzzo dei nostri giorni si frattura, al suo interno entrano acqua o umidità e la crepa va allargandosi, indebolendo l’intera struttura. Con la miscela dei Romani invece, la fessura si autoripara. Come? I granelli di calce che si sono formati quando fu prodotto il calcestruzzo, si sciolgono con l’infiltrazione di acqua: in questo modo forniscono gli ioni di calcio (ossia atomi senza elettroni) che, ricristallizzando, riparano le crepe».

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Martina Serpe