Batteri per rendere l’acqua potabile
Batteri, batteri e ancora batteri: ogni giorno che passa continuiamo sempre più a scoprire le potenzialità della natura e le applicazioni che possono avere in ambito ingegneristico alcuni organismi con il loro comportamento. Dal batterio che digerisce plastica, a quello inserito nel calcestruzzo per rigenerarne le crepe, fino ad arrivare alla larva che mangia la plastica, ora i batteri potrebbero svolgere un ruolo importante nella produzione di acqua potabile. Perché seppur la tecnologia avanzi, ancora oggi nel mondo più di 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile.
Novità importanti quindi arrivano dalla University of British Columbia, dove il professore della facoltà di Ingegneria Civile Pierre Bérubé e il tesista Lukas Dössegger hanno sviluppato un sistema che utilizza batteri per trasformare l’acqua non potabile in acqua potabile, sistema che sarà immediatamente testato nelle prossime settimane a West Vancouver prima di essere installato in comunità remote in Canada.
Una membrana innovativa
In realtà i batteri non sono l’unica parte di questa nuova tecnologia. Essa si basa su una membrana che in prima battuta cattura e trattiene contaminanti, sporcizia, particelle organiche, batteri e virus, lasciando filtrare l’acqua. Una comunità di batteri benefici, o anche chiamati biofilm, funziona come seconda linea di difesa, lavorando insieme per abbattere gli inquinanti. La membrana utilizzata però non rappresenta una novità nel campo dei trattamenti, ma attraverso studi precisi Pierre Bérubé sta cercando di apportare importanti modifiche.
Le membrane tra le più utilizzate per i processi di ultrafiltrazione sono quelle a fibra cava sommersa. Il loro uso però è attualmente ostacolato dalla complessità e dal costo soprattutto per le comunità piccole o remote. La maggiore complessità è associata alle misure di controllo ausiliarie di fouling, ovvero il controllo del deposito di sostante sulla membrana che può comprometterne la funzionalità; queste misure comprendono tecniche come il lavaggio a rovescio, lo spargimento d’aria e il lavaggio chimico. Gli studi portati avanti da Bérubé e Dössegger hanno dimostrato che è possibile operare in modo continuo senza misure di controllo del fouling. L’intento è di ridurre al minimo la complessità meccanica e operativa dei sistemi a membrana a fibra cava sommersa, massimizzando la loro capacità di trasmissione e minimizzando la manutenzione.
Sfrutta la pressione idrostatica
La novità apportata da questa nuova membrana riguarda anche come avviene la filtrazione. Viene infatti adottata la pressione idrostatica, ovvero la gravità, per fornire la forza di spinta alla permeazione, al contrario dell’ultrafiltrazione classica che sfrutta le differenze di pressione; questo riduce ulteriormente la complessità del sistema. Secondo gli esperimenti, circa il 50% del materiale organico nell’acqua non trattata viene rimosso durante il trattamento; inoltre lo spargimento per pochi minuti al giorno di una piccola quantità d’aria, e un’interruzione del fluido permeato per un’ora al giorno raddoppia la permeabilità. Né l’approccio usato per interrompere la permeazione né quello sviluppato per attirare l’aria nel sistema usando la gravità aggiunge notevole complessità meccanica o operativa al sistema.
Questo sistema quindi è il primo ad usare la gravità per rimuovere i contaminanti catturati, che altrimenti accumulano e bloccano la membrana. È a bassa manutenzione e più efficiente rispetto agli approcci convenzionali che richiedono sostanze chimiche e sistemi meccanici complessi per mantenere le membrane pulite. Il biofilm in aggiunta aiuta a eliminare i contaminanti catturati.
“L’accesso all’acqua potabile pulita è una sfida costante per milioni di persone in tutto il mondo. Il nostro obiettivo è quello di fornire un modello per il trattamento delle acque a basso costo efficace per le comunità e per aiutare i cittadini a costruire i loro impianti di trattamento delle acque“, afferma Bérubé.
Staremo a vedere!