Abbiamo sempre parlato su queste pagine di come i problemi ambientali provocati dalla plastica siano enormi, e di come in giro per il mondo si stia cercando di trovare delle soluzioni più efficaci possibili (The Ocean CleanUp, il progetto per ripulire gli oceani è oggi realtà & Seabin, un bidone galleggiante per ripulire il mare). Ma come si fa a raccogliere e riciclare 50 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno vengono prodotte in tutto il mondo? La plastica che galleggia negli oceani e che è abbandonata nelle nostre strade non può essere tutta riciclata per ovvie difficoltà logistiche, perché molti non si rendono conto dei numeri spaventosi che questo materiale infame porta con sé: meno del 5% della plastica prodotta viene riciclata, il 40% finisce in discarica per essere incenerita (con un forte impatto ambientale) e il resto viene abbandonato negli ecosistemi naturali; ci sono 5.250 miliardi di pezzi di plastica che galleggiano negli oceani, 8 milioni di tonnellate all’anno vengono scaricate in mare, equivalente ad un camion al minuto. Di questo passo, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci negli oceani: è il momento di dire basta a danneggiare l’ambiente (Referendum sulle Trivelle, Sveglia!) perché gli unici che ci rimettiamo siamo noi, la nostra salute, le generazioni future, la razza umana, che continuando così entro 100 sarà estinta.
Gli studi delle università e dei ricercatori sono allora fondamentali per trovare soluzioni che cercano di eliminare del tutto la plastica, senza passare per la raccolta e il riciclo, semplicemente perché la plastica è TROPPA. Studiosi giapponesi si sono soffermati a lungo nello studiare le caratteristiche di un particolare materiale plastico, ovvero il PET (Polietilene tereftalato), una resina termoplastica che tutti noi conosciamo perché viene utilizzata per produrre bottiglie di plastica, vaschette di gelato e alcuni particolari tipi di vestiti, ma anche etichette, pellicole e rivestimenti. Il PET è leggero, incolore e molto resistente, e attualmente può essere riciclato o per depolimerizzazione attraverso glicolisi o per riciclaggio meccanico, ma è molto resistente al processo di biodegradazione.
Proprio per questo si è cercato un modo alternativo per degradare questo materiale, sfida accettata da un team di ricerca dell’Institute of Technology and Keio University di Kyoto, che ha raccolto e studiato 250 campioni di PET provenienti da un sito di riciclaggio e quindi contaminati da sedimenti, particelle di suolo e reflui. Analizzando questi campioni al microscopio, il team leader della ricerca Shosuke Yoshida ha osservando le migliaia di microbi che vivono sulla superficie del materiale, i quali usano il PET per crescere e riprodursi, ma che nessuno apparentemente usa per alimentarsi. Tutti i microbi si trovano a loro agio sul PET, ma nessuno lo trova gradevole da mangiare. Tutti tranne una particolare tipologia di batteri, che è capace di mangiare e assimilare il polimero: l’Ideonella sakainesis.
Studi approfontidi hanno rilevato che questi batteri utilizzano due enzimi per rompere i forti legami del PET; il primo si chiama PETase, ed è secretato quando il batterio aderisce alla superficie plastica, il secondo si chiama MHET idrolase, ed è responsabile della rottura delle catene polimeriche in molecole meno pericolose, l’acido tereftalico e il glicole etilenico. Questo processo è però abbastanza lento, infatti gli studiosi pensano che un gruppo di Ideonella sakainesis potrebbe digerire un sottile strato di PET nel corso di 6 settimane ad una temperatura di 30°C.
Essendo il processo lento e non ancora dettagliato, gli studiosi sono abbastanza freddi sul poter utilizzare immediatamente questa scoperta per aiutare l’ambiente, ma sono fiduciosi per il futuro, come afferma lo stesso Shosuke Yoshida: “Noi speriamo che questo processo possa essere comune ad alcuni batteri; ora sappiamo che cosa stiamo cercando e studieremo molti microbi in diverse aree del mondo”.
Se i numeri dell’inizio non vi hanno fatto impressione, ricordatevi che arrivati a questo punto dell’articolo un camion ha già scaricato circa 15.000 kg di plastica in mare, magari proprio in quel mare dove ci facciamo il bagno.