Da anni ormai l’utilizzo di biocarburanti è conosciuto e ben sviluppato. Ma, in accordo con una delle mie teorie preferite secondo cui “non c’è limite al meglio”, ci sono diversi studi in corso per ottimizzare il loro impiego in contesti industriali e di trasporto (a monte della produzione di biocarburanti), e per aumentarne l’efficienza produttiva (a valle), attraverso differenti tecnologie e diversi substrati. A quest’ultimo proposito i biocarburanti sono classificati, spesso e comodamente, in prima generazione e seconda generazione. I primi sono quelli ricavati a partire da colture ben note, largamente diffuse e usate a fini alimentari (colza, soia, girasole, palma,mais, grano, barbabietola e canna da zucchero). I secondi, invece, non sono ancora presenti in modo significativo sul mercato e sono prodotti da substrati, generalmente, non utilizzabili a fini alimentari (materiali lignocellulosici, oli non commestibili, scarti agroalimentari).
Da qualche anno, tuttavia, si è anche iniziato a parlare di biocombustibili di terza generazione, cioè quelli ricavati dalla coltivazione e dal processamento di alghe e/o microalghe. Tale processo risale alla seconda guerra mondiale in Germania, e, successivamente, è stato studiato in modo prevalente negli Stati Uniti e in Giappone e Corea. Le caratteristiche più interessanti di questa tipologia di substrato per la produzione di biocarburanti sono:
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Produttività Le alghe presentano un contenuto più alto di lipidi a cui si associa una produttività più alta per unità di area. Il professore americano Peter McKendry ha studiato come – idealmente – per raggiungere il 50% del fabbisogno di carburante degli Stati Uniti servirebbero circa 1500 Mha di grano o 45 Mha di palma o solamente 2 Mha (nel caso migliore) di microalghe. Queste ultime, infatti, sono caratterizzate da un’alta efficienza di conversione della luce solare attraverso la fotosintesi: circa il 7% contro lo 0,5% (massimo 1%) delle comuni biomasse. Efficienze così elevate sono rese possibili dalla coltivazione delle alghe in ambienti controllati, quali i fotobioreattori.
Non competitività rispetto al mercato alimentare. Negli ultimi anni si è assistito a un’intensificazione notevole dei raccolti tradizionali per la conversione a biocarburanti (bioetanolo primo fra tutti) provocando un aumento insostenibile dei costi delle materie prime e un impatto non trascurabile dovuto alla riconversione di foreste e praterie in coltivazioni a fini energetici. Queste, pur rimanendo pozzi di CO2, potrebbero far scaturire diversi impatti ambientali, economici e sociali.
Utilizzo di terreni altrimenti non produttivi. La coltivazione di alghe potrebbe avvenire in ambienti non utilizzabili in nessun altro modo, tra cui il mare che rappresenta più del 70% della superficie terrestre. Questo punto è fondamentale perché funzionale alla sostenibilità della produzione intesa nel modo più generale e completo possibile.
Utilizzo di differenti qualità di acque. La coltivazione di alghe si presta a differenti ambienti acquiferi come acque dolci e salate ma anche reflui urbani e zootecnici, riducendone l’impatto ambientale e sfruttando quelli che sarebbero, altrimenti, rifiuti da trattare.
Compatibilità ottimale con l’infrastruttura esistente dei combustibili destinati al trasporto. I biocombustibili ricavati dal processamento delle microalghe presentano, infatti, le stesse proprietà chimiche e fisiche (Potere Calorifico Inferiore) dei combustibili bio da coltivazioni su terra.
Produzione combinata di energia e fertilizzanti. Come ogni composto organico, anche le alghe, dopo l’eventuale processamento ai fini energetici, si prestano alla produzione di biofertilizzanti ad alto valore nutritivo. La loro coltivazione, inoltre, ha ulteriori benefici economici poiché destinabile all’alimentazione umana e animale.
Contenimento delle emissioni di anidride carbonica. Le alghe, come qualsiasi altra biomassa, sono caratterizzate dal cosiddetto ciclo emissivo nullo di CO2, poiché rilasciano in atmosfera – durante la loro combustione – la stessa quantità di CO2 assorbita durante la loro vita per i processi biochimici.
Integrazione in altri processi produttivi e industriali. Ulteriori benefici in termini di efficienza energetica e impatto ambientale possono essere raggiunti attraverso l’integrazione tra coltivazione di alghe e, per esempio, impianti di trattamento di acque e/o allevamenti intensivi.