Cibo, in Italia se ne sta sprecando troppo | Basta leggere questo sull’etichetta e lo si getta: prima di farlo segui questo consiglio
Lo spreco alimentare nel nostro paese ha raggiunto picchi mai visti prima. Ecco perché non sempre vale la pena buttare un prodotto che ha superato la data di scadenza
Gli sprechi alimentari nel nostro paese si attestano su dati alquanto elevati. Come riportato dall’Osservatorio ‘Waste Watcher International’, che ha effettuato una stima sull’intera annata 2024, per la produzione di numerosi alimenti, come frutta e verdura, carne e altri derivati animali, avviene annualmente uno sfruttamento di oltre 1,900 milioni di ettari agricoli.
Gli stessi prodotti che vengono puntualmente sprecati dalla maggior parte delle famiglie italiane, solite gettare nell’immondizia ben 683,3 grammi di cibo settimanalmente, raggiungendo una stima di oltre 35 kg spalmati nel corso dell’anno, che non vengono consumati, ma smaltiti.
Le persone sono solite fare affidamento sugli elementi figuranti sull’etichetta dei prodotti che vengono acquistati; la stessa, tra le varie diciture, presenta anche un’importante precisazione relativa alla data di scadenza. Questa viene preceduta dall’espressione ‘Da consumare entro‘ e seguita, per l’appunto, da una data, che stabilisce il limite oltre il quale la consumazione del prodotto indicato potrebbe provocare disordini gastrointestinali, nei casi più gravi intossicazioni, o più semplicemente non risultare gradevole al palato e fresco come appena acquistato.
Ma la data coincide effettivamente con il reale processo di ‘deterioramento’ dell’alimento? A spiegare come stanno effettivamente le cose ci ha pensato Altroconsumo. Innanzitutto è stato definito come la dicitura presente sulle etichette risulti essere quantomeno impropria; sarebbe maggiormente opportuno fare riferimento al TMC, ossia il termine minimo di conservazione, che indica il lasso di tempo entro cui risulta preferibile il consumo, poiché eccedere nel tempo potrebbe portare lo stesso a perdere le sue caratteristiche.
Come stabilire l’effettiva ‘data di scadenza’?
Ciò vuol dire, in sostanza, che non esiste motivo per cui un prodotto andrebbe buttato non appena la data indicata sull’etichetta venga superata, nonostante lo stesso, magari, non sia ancora neanche stato scartato. Ed è proprio Altroconsumo a definire in maniera pratica ma completa una sorta di guida, relativa ai prodotti più comunemente acquistati dagli italiani, specificando per ognuno di essi i limiti o il TMC entro cui sarebbe preferibile effettuarne il consumo.
In linea generica è emerso che più esteso sarà il termine minimo di conservazione previsto, più ampio si rivelerà il margine di tolleranza. Ciascun prodotto in base alle proprie caratteristiche presenta termini completamente differenti, sia per quanto concerne la perdita di fragranza o sapore, sia in merito alla possibilità di formazione di muffe o sapori stantii.
I limiti indicati, prodotto per prodotto
Ma cominciamo a fornire esempi pratici, partendo dai punti cardine della stragrande maggioranza dei pranzi degli italiani: pasta, riso e farina. Si tratta di prodotti secchi che risultano essere appetibili al consumo anche dopo due mesi dall’apertura della confezione. Attenzione però! Già, perché gli stessi sono frequentemente soggetti alla contaminazione da parte di parassiti e farfalline; per questo si consiglia di conservarli ermeticamente, in modo da impedire l’ingresso di malaugurati agenti. Discorso simile per quanto riguarda crackers e biscotti. E’ pur vero che, dopo esser rimasti aperti per un qualche settimana, cominceranno a perdere la loro fragranza e il loro sapore, ma piuttosto che buttarli, ingerirli anche a distanza di mesi non influirà minimamente sulla vostra salute. Per quanto riguarda i prodotti in scatola? Essendo alimenti sterilizzati, il loro consumo potrà avvenire anche a distanza di 12 mesi dalla data di scadenza, a patto che risultino perfettamente integri esternamente. Il pesce fresco, da preservare in un ambiente estremamente rinfrescato, dovrà invece essere consumato massimo due giorni dopo la data di scadenza; discorso leggermente diverso per i prodotti ittici affumicati, in grado di garantire le proprie qualità anche per diverse settimane nel caso in cui il sigillo non venga aperto, ma che possono rivelarsi causa di disagi intestinali nel caso in cui il consumo avvenga oltre un paio di giorni dopo la loro apertura.
La carne, se macinata, deve essere necessariamente cotta entro le 24 ore successive all’acquisto, mentre i pezzi interi o a fettine possono risultare ancora appetibili fino a quattro giorni dopo. Le uova dovranno essere consumate esclusivamente entro la data indicata sulla confezione. E invece il latte? Tende ad inacidirsi con molta frequenza, ma nel caso in cui si tratti di prodotto fresco, anche il giorno successivo alla scadenza può essere sfruttato per il suo consumo. Nel caso in cui si tratti di UHT, invece, la sua durata si attesta sui 4 mesi se sigillato. La conservazione del latte deve sempre avvenire ad opportuna refrigerazione all’interno del frigorifero e va immediatamente buttato qualora sopraggiunga un pungente odore di acido. Lo stesso vale per i formaggi freschi, che risultano essere di gran lunga più deperibili dei ‘cugini’ stagionati. Se vi state chiedendo se l’acqua in bottiglia abbia una scadenza, la risposta è si. Fino a 12 mesi successivamente alla data di scadenza la sua consumazione è ancora possibile, ma è meglio non andare oltre. Chiudiamo con sale e pepe, che al contrario di tutti gli altri alimenti presi in esame, non vanno incontro al deterioramento. Ma il denominatore comune per tutti i prodotti è la comparsa di muffe; basta una minima traccia per comprometterli definitivamente, obbligando, di fatto, allo smaltimento nella spazzatura.