Tra le tre donne ad essersi laureate nel 1951 al Politecnico, Cini Boeri ha vissuto in pieno i drammi del dopoguerra. È stata partigiana attiva durante la Resistenza e ha subito uno sfollamento con la famiglia sul Lago Maggiore. In quel periodo conobbe il marito, il neurologo Roberto Boeri. Da questa unione nacquero tre figli, anzi tre grandi calibri del panorama culturale moderno: il giornalista Sandro, l’economista Tito e l’architetto Stefano.
Cini, diminutivo di “picinin” come la chiamavano i fratelli maggiori, non è stato il classico architetto che punta a pensare e realizzare opere immense dal gusto megalomane. Per lei l’architettura era fatta in funzione della vita dell’uomo e del contesto in cui si trova. Qualcosa di semplice e funzionale, per tutti i giorni, un po’ come lei: appariva raffinata e al tempo stesso pragmatica.
“L’architettura è una scienza che si prende cura dell’umanità”
Essendo una delle prime donne laureate al Politecnico per l’epoca, non ha di certo trovato la strada spianata. Gli stessi con cui ha affrontato la gavetta, Gio Ponti e Marco Zanuso, glielo ripetevano in continuazione, in quanto il mestiere di architetto per una donna era arduo da reggere in un mondo ancora troppo maschile. Entrambi i maestri sono stati fondamentali per il percorso formativo di Cini Boeri. Le hanno insegnato sia a sognare sia a mantenere i piedi per terra e avere un metodo di progettazione rigoroso senza troppi fronzoli. Fu così che nel 1963 dopo 12 anni di apprendistato aprì il suo primo studio, cominciando prima con oggetti di design fino ad arrivare alle opere architettoniche.
Con Zanuso muove i primi passi verso la progettazione di coloratissimi oggetti di interni e di design per un asilo al Lorenteggio. Successivamente all’apertura del suo studio, comincia a collaborare con l’azienda Arflex, per la quale creerà il divano Strips che le farà ottenere nel 1979 il titolo di “Compasso d’oro”, un prestigioso e antico riconoscimento che viene affidato dall’Associazione per il Disegno Industriale, che ha il compito di premiare il design italiano. Famoso è anche il Serpentone, un divano da vendere a metro in moduli di schiuma poliuretanica stampati a iniezione. Per lei rappresentava “un tentativo di dissacrare la proprietà” e un modo di concepire il design rivoluzionario per gli schemi tipici di quegli anni, così come lo era il suo pensiero di vedere l’architettura.
Per quanto riguarda le opere architettoniche, bisogna ricordare lo showroom Knoll a Parigi, un appartamento al 56° piano della Trump Tower di New York, la casa rotonda e casa bunker in Sardegna, e la casa nel bosco a Osmate. Oltretutto, Cini Boeri si è anche dedicata a interventi di recupero, come la villa su tre livelli di Vigolzone.
Sono questi tutti progetti in cui è evidente il forte rispetto che aveva non solo per le persone, ma anche per l’ambiente circostante. Per Cini Boeri l’abitazione doveva essere concepita a immagine e somiglianza di chi ci vive, non dell’architetto. Ciò che va assecondato è il desiderio della persona che abita in una casa e tutte le sue necessità.
“Progettare è una gioia ma anche un impegno, una grande responsabilità”