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Disastro del Vajont: 59 anni fa una delle tragedie naturali peggiori del nostro paese

9 Ottobre 1963, una data che purtroppo l’Italia non potrà mai dimenticare. Una pagina nera, nerissima, per il nostro paese, che ogni anno ricorda la tragica catena di eventi che costò la vita di circa 2000 persone. Un evento di una portata tale da restare vivido nei ricordi di chi c’era 59 anni fa e da essere noto anche alle generazioni più giovani.

L’ennesima, triste conferma con cui ciclicamente l’uomo si trova a dover fare i conti. E cioè che con la natura non si può tirare troppo la corda, perché a volte (come purtroppo in questo caso) le conseguenze sono catastrofiche. Specialmente se, come nel caso del disastro del Vajont, si innesca una catena di eventi impensabile che conduce ad un evento nefasto.

Ma esattamente, cosa accadde durante quel maledetto giorno? Cerchiamo di ripercorrere le tappe salienti che hanno portato ad uno degli eventi naturali più devastanti e terribili mai accaduti nel nostro paese.

La realizzazione del bacino idroelettrico del Vajont

Prima di analizzare direttamente le fasi del disastro, è bene fare una regressione storica molto importante per il racconto. Siamo fra fine ‘800 ed inizi ‘900, l’Italia si trova alle prese con una grossa rivoluzione nel settore energetico. E’ infatti in atto una graduale transizione dall’impiego del carbone a quello dell’energia elettrica per soddisfare il fabbisogno nazionale di energia sempre maggiore. Si decide di sfruttare l’orografia del Nord Italia per produrre energia elettrica mediante il corso dei fiumi e dei torrenti montani.

L’allora Società Idroelettrica Veneta, confluita poi nella SADE (Società Adriatica Di Elettricità, che avrà ruolo fondamentale nelle vicende), propone come sito potenzialmente interessante quello della valle del fiume Vajont. Situata al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, questa valle stretta e profonda ben si presta alla realizzazione di una diga per la creazione di un invaso artificiale. A partire dal 1926, con una prima ipotesi di fattibilità progettuale dell’Ing. Semenza, per decenni si susseguono gli sviluppi di quest’opera. Inizialmente si ipotizza una posizione della diga considerata più sicura geologicamente parlando, dopo la ripresa delle attività progettuali (interrotte causa secondo conflitto mondiale) si opta invece per posizionare il manufatto in calcestruzzo più a valle.

Questa scelta (di fatto la prima causa del futuro disastro) consente di realizzare quello che viene definito “Grande Vajont”, integrando il nuovo impianto idroelettrico con quelli più piccoli posti nelle vicinanze. Per fare ciò, il progetto della diga del Vajont viene aggiornato più volte e, una volta realizzata (fra il 1956 ed il 1961), l’opera è imponente.

Si tratta di un’opera ad arco sottile a doppia curvatura alta ben 261,60 m, posta a 463,90 m s.l.m., con larghezza alla base di 22,11 m e in sommità 2,92 m.

Diga del Vajont. Credits: Pixabay

La precarietà geologica della valle del Vajont

L’area dove sorge la diga, sebbene abbia ottime qualità geometriche di bacino idrico in termini di volume e posizionamento, a livello geologico risulta fortemente instabile. Qui infatti nel corso dei secoli si sono succedute molti eventi franosi (come nel 1347, 1737, 1814, 1868 e 1960). Quest’ultimo evento, giusto tre anni prima del disastro e di fatto identico se non nelle proporzioni (vi fu nel 1960 una sola vittima) era un chiaro avvertimento sulla precarietà della stabilità dei versanti, con un livello della superficie del bacino molto inferiore a quello che si ebbe nel 1963.

Questo evento, avvenuto durante la costruzione della diga, comportò una serie di interventi atti a mettere in sicurezza il bacino in caso di frane successive. Primo fra tutti lo svuotamento dello stesso (durato parecchi mesi), e poi la realizzazione di una galleria di bypass per garantire la continuità idraulica del bacino in caso di evento franoso.

Questo evento insinua molti dubbi sull’effettiva sicurezza del bacino idroelettrico, ed i mass media iniziano ad ipotizzare eventi potenzialmente catastrofici mettendo in guardia la popolazione direttamente coinvolta. Numerose perplessità riguardano anche i risultati dei vari studi di stabilità geologica del complesso del monte Toc e della valle. Inoltre, da non trascurare la componente climatica dell’area.  La valle del fiume Vajont si caratterizza infatti per elevata piovosità, intense azioni cicliche di gelo-disgelo e scarsa insolazione. Tutti fattori che, sommati ai precedenti, cntribuiscono alla catena di eventi alla base del disastro.

Il disastro del Vajont – la catena degli eventi

Ed eccoci qui, arrivati al 9 Ottobre. Sono le 22:39, una serata molto piovosa nella valle del fiume Vajont. In un attimo, il finimondo. Le abbondanti precipitazioni, unitamente alle azioni erosive dell’invaso e alle caratteristiche geologiche precarie della valle, fanno da miccia al disastro. Oltre 260 milioni di metri cubi di roccia (oltre il doppio del volume di acqua contenuto nella diga) si staccano dal monte Toc e finiscono nel bacino artificiale del Vajont. Il quantitativo di materiale è enorme, sormonta all’acqua il coronamento sommitale della diga con una violenza tale da diventare un enorme fiume in piena.

L’acqua, fuori controllo, risale a monte distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nei comuni di Erto e Casso, inoltre scende a valle con una potenza inaudita. Si riversa nella valle del Piave e rade quasi completamente al suolo il paese di Longarone e i comuni limitrofi, ricoprendole di fango e detriti. Lungo il suo cammino l’acqua spazza via senza sforzo tutto ciò che incontra. Prima di abbattersi sulla valle del Piave, lo spostamento d’aria provocato dal moto d’acqua è tale da essere paragonato alle conseguenze di un’esplosione atomica: alcune delle vittime vennero infatti trovate nude, i vestiti spazzati via, altre ancora completamente irriconoscibili, altre ancora come volatilizzate. Sono circa 2000 le vittime di questo spaventoso evento, considerabile a tutti gli effetti una “catastrofe costruita”.

Sì, perché nei giorni successivi al disastro si scopre che l’ente gestore aveva intrapreso un innalzamento dell’invaso oltre l’altezza di soglia di 700 m. Quest’azione viene giustificata ufficialmente come operazione di collaudo, ma ha in realtà un altro obiettivo. Quello di far cadere il costone in incipiente frana nell’invaso in modo controllato, per far sì che non costituisse più pericolo.

Fasi del disastro del Vajont. Credits: Dailygreen

Le conseguenze del disastro del Vajont

Dopo qualche giorno dal disatro la magistratura ufficializza i capi d’accusa mossi nei confronti di alcuni dirigenti e consulenti della Sade, che si occupò della progettazione e poi della realizzazione della diga del Vajont – oltre a una serie di funzionari del Ministero dei Lavori Pubblici. Le imputazioni erano cooperazione in disastro colposo, omicidio e lesioni colpose plurimi. Il processo si concluse nel 1972 con la condanna del dirigente della Sade e di un ispettore del Genio Civile. Si scopre infatti che per decenni le società coinvolte avessero volutamente occultato  la non idoneità dei versanti del bacino, che risultava ad elevato rischio idrogeologico.

A ricordo di quel tragico evento restano, oltre alla diga (che paradossalmente non ha subito danni durante l’evento), alcuni superstiti. Allora bambini, ora adulti, ma tutti con le immagini di quella notte impresse a fuoco nella memoria. Uno di questi è Renato Migotti, all’epoca 16enne, oggi 75enne e presidente dell’associazione di superstiti che oggi si chiama «Vajont: il futuro della memoria». Salvatosi grazie al fatto che il suo materasso lo abbia quasi avvolto durante l’evento, proteggendolo da tutto.

Purtroppo, quasi 2000 persone non hanno avuto la stessa sorte. Un destino beffardo, figlio di una catena di eventi fortuita fino ad un certo punto, che vede la mano dell’uomo presente e determinante per l’accaduto.

Published by
Shadi Abu Islaih