Al di sotto dei nostri piedi corrono chilometri e chilometri di cavi, le cosiddette dorsali. Vere e proprie autostrade la cui struttura portante è costituita da cavi in fibra ottica. Ma sotto i nostri piedi viaggiano anche chilometri e chilometri di fibra spenta, chiamata dark fiber. Oggi gli studiosi di tutto il mondo guardano con crescente interesse a questo enorme apparato inutilizzato e alla possibilità di convertirlo in un sistema estensivo di monitoraggio dei terremoti a costo praticamente nullo. La fibra ottica può quindi diventare uno strumento unico per la previsione dei terremoti. Diversi studi, dal California Institute of Technology alla Stanford University, lo confermano. E anche in Italia prende piede un progetto di monitoraggio unico e all’avanguardia.
La fibra ottica è nota ai più come un recente ritrovato del campo delle telecomunicazioni civili, ed è in questo settore che sembrano essere limitati i suoi usi. In realtà, la fibra italiana non è più giovane come sembra e a metà settembre spegne le sue prime 43 candeline. Alla fine dell’estate del 1977, infatti, l’allora SIP collegò a Torino due centrali distanti solo poche centinaia di metri. Fu l’inizio di un decennio di successi e di avanguardia per le telecomunicazioni del nostro Paese.
Oggi come allora, la fibra ottica ha di per sé un costo basso sul totale dell’opera (circa il 10%). Per questo, le società di telecomunicazioni che decidevano di investire nel cablaggio installavano senza remore cavi aggiuntivi per i quali non era ancora previsto alcun uso, la cosiddetta fibra spenta, o dark fiber.
Ma come convertire la fibra ottica nel più grande sistema di osservazione dei fenomeni sismici mai esistito? Tutto questo sarebbe possibile grazie al metodo del Distribution Acoustic Sensing (DAS), che nasce per il monitoraggio delle pipeline nell’ambito di gasdotti e oleodotti. La fibra ottica trasporta dati mediante delle pulsazioni di luce che viaggiano attraverso filamenti in fibra di vetro o plastica. Ma se un filamento ha un’imperfezione, generata da variazioni di temperatura o da vibrazioni, come quelle di un terremoto appunto, parte di questo segnale viene riflesso all’indietro. Il sistema DAS, mediante un interrogatore laser, invia segnali ottici nel cavo e converte gli impulsi di luce riflessi in informazioni sul tipo di onda che ha causato la perturbazione.
Ad oggi sismografi e accelerometri sono e restano gli strumenti più sensibili e completi per l’analisi di un evento sismico. Ma il loro uso sul territorio, anche per i costi che derivano dalla messa in esercizio e dalla loro manutenzione, è puntuale. Una rete di monitoraggio estesa, invece, consentirebbe di dettagliare “ad alta risoluzione” la risposta del suolo, mappare più velocemente la localizzazione dell’epicentro e studiare con maggiore dettaglio specialmente i fenomeni sismici minori. Un certo numero di studiosi resta scettico sull’uso della fibra da telecomunicazioni per via del “rumore” di fondo del segnale, generato dal fatto che l’infrastruttura, libera di muoversi nel cavidotto, non risulta solidale al suolo. Tuttavia, gli studi svolti alla Stanford University fin dal 2016 inducono a credere che questo fattore non sia determinante. Prevedere i terremoti grazie alla fibra ottica è quindi uno scenario possibile.
Durante il suo primo anno di operatività, l’osservatorio sismico di Stanford, costituito da una rete in fibra ottica che viaggia per 3 miglia all’interno del campus, ha registrato 800 eventi sismici, dai più insignificanti fino al catastrofico terremoto del Messico del 2017. In particolare, nel caso di due terremoti locali e di bassa magnitudo (1,6 e 1,8), l’osservatorio ha rilevato onde dalla forma simile (poiché gli eventi si erano originati pressappoco nello stesso luogo) ma di ampiezza diversa. Segno che il sistema è riuscito a distinguere fra magnitudo anche poco diverse fra loro. Non di poco conto, soprattutto nell’ambito della precocità dell’allarme, è il fatto che il sistema sia riuscito anche a distinguere fra onde P e onde S, noto il fatto che le prima arrivano in genere con largo anticipo rispetto alle seconde.
In Italia questi studi non sono passati inosservati. L’interesse si è presto tradotto nel progetto MEGLIO (Measuring Earthquakes signals Gathered with Laser Interferometry on Optic Fibers), partito quest’anno e voluto da Open Fiber in collaborazione con Pangea Formazione, INGV, INRIM e Metallurgica Bresciana SpA. In questa prima fase del progetto una porzione della rete in fibra ottica dell’operatore Open Fiber, equipaggiata con sensori laser ultrastabili, avrà il compito di monitorare gli eventi sismici sul nostro territorio.
Se le sperimentazioni in corso avranno successo, il fiber sensing, ossia la possibilità di sfruttare l’intera lunghezza di un cavo di fibra ottica come un trasduttore di informazioni, in maniera del tutto passiva, potrebbe aprire nuovi scenari nel campo dell’Internet of Things e dare vita ad un ventaglio inesplorato di possibilità per la raccolta dei dati ambientali. Prevedere i terremoti grazie alla fibra ottica rimane quindi una possibilità tanto affascinante quanto concreta.