“Da quando è successo io non penso ad altro. Ho aspettato un po’ prima di chiamare te perché ero scioccato. Io stesso quel ponte l’ho percorso mille volte“. Così l’archistar Renzo Piano si confessa al governatore della Liguria Giovanni Toti e al sindaco di Genova Marco Bucci in occasione dell’incontro per discutere l’idea per il nuovo ponte che andrà a sostituire il viadotto Morandi, tragicamente crollato lo scorso 14 agosto. Idea che Piano, nato proprio a Genova il 14 settembre 1937, ha voluto regalare alla città come segno di vicinanza e umanità nei confronti della terribile tragedia.
E’ ovvio che in questo momento l’idea non può che essere solamente un plastico e non una vera e propria idea progettuale fatta di calcoli rigorosi. E’ troppo presto per parlare dei particolari del nuovo design, ma per Piano il nuovo ponte deve essere sia un memoriale che un’incarnazione del momento positivo di unità e cooperazione che investe il popolo italiano soprattutto nei momenti più difficili.
Rigore e sobrietà sono le parole che ha usato Renzo Piano durante il suo intervento. Niente più stralli e campate ad altezze vertiginose, ma una serie di piloni su cui appoggiare l’impalcato e l’asse stradale illuminato da 43 lampioni, ognuno per ogni vittima del crollo del ponte Morandi. Niente più ponte da attraversare al buio, i lampioni formeranno una luce a forma di vela che scandiranno per sempre la memoria di chi attraverserà il ponte.
L’idea dell’architetto è inserita in un più ampio progetto di riqualificazione dell’area, da anni messa a durissima prova dalla ritirata dell’industria, ma che è possibile grazie ai fondi stanziati per il piano nazionale delle periferie. Al di sotto del ponte infatti secondo l’architetto sarà previsto un parco in cui sorgeranno incubatori di imprese, residenze, start up, il tutto per fare in modo che «la calamità possa anche diventare occasione di riscatto per la città che in questi anni ha fatto poco».
Non si parla di materiali, di tecnica costruttiva, di tempi o di burocrazia, per il momento c’è solo l’idea, come afferma lo stesso Renzo Piano:
Mi sono fatto un’idea di come deve essere il nuovo ponte ma è soltanto l’inizio. Un progettista pensa e ragiona aiutandosi con oggetti e schizzi. Da qui a dire che c’è un’idea progettuale è eccessivo, c’è un impegno morale. Dev’essere un ponte che esprima tutto questo, ci deve essere il ricordo di una tragedia e il suo elaborarsi nel tempo
Piano continua riferendosi anche all’ing. Morandi: “Di certo Morandi era un grande ingegnere e ha realizzato qualcosa di audace, intelligente e coraggioso ma, ovviamente, molto fragile. Fragile nel senso di una bellezza che è fragile, ma non è una critica: il ponte ha richiesto un livello estremamente alto di attenzione durante tutta la sua vita“.
“Una cosa certa è che il ponte deve essere bello, non solo nel mero senso estetico ma nel trasmettere un messaggio di verità e orgoglio”, continua Renzo Piano. “Deve essere un luogo in cui le persone possono riconoscere la tragedia in qualche modo, fornendo anche un grande accesso alla città, tutto questo senza alcun segno di retorica, sarebbe la trappola peggiore. Dobbiamo allontanarci da queste sensazioni e invece cercare di esprimere orgoglio e veri valori: questo è ciò che Genova merita.
Un ponte è un simbolo e non dovrebbe mai cadere, perché quando un ponte cade i muri si alzano. Non è solo un processo fisico ma metaforico: i muri sono cattivi, non dobbiamo costruire muri ma ponti, i ponti sono buoni, fanno collegamenti. Sarei felice di essere coinvolto perché questa è la mia missione, sono anche un senatore per la vita e quindi è uno dei miei compiti rispondere a un tale disastro in qualche modo”. Ha inoltre sottolineato che si tratta di un “lavoro a titolo gratuito, in continuità con quello che il mio studio ha fatto per Genova in questi anni”.
Il continuo rimbalzo di responsabilità, la capacità di fare propaganda politica nonostante tragedie di questo calibro e la totale confusione che governa incontrastata lasciano trapelare che sarà estremamente complicato venire a capo di questa situazione, che si presenta come una ferita troppo profonda da ricucire il nostro paese. L’idea di Piano deve essere presa per quella che è, ovvero un’idea e basta. E solo personaggi di spicco come lui o il prof. Cosenza hanno il diritto di interrompere il silenzio che, purtroppo, non è stato così assordante come in realtà sarebbe dovuto essere, nel rispetto di una tragedia che facciamo ancora fatica a realizzare. Ma soprattutto è il momento che il nostro settore faccia finalmente fronte comune. Basta critiche, allarmismi o complottismi, è tempo di lanciare segnali forti per ridare lustro ai nostri studi e alla nostra professione: in Italia c’è tanto lavoro da fare, allora iniziamo.