Materiali

Il segreto del cemento romano che resiste da millenni

di Gianluigi Filippo 

Inespugnabile alle onde marine e ogni giorno più resistente del giorno precedente”. Cosi descriveva Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia (77 d.C.), le caratteristiche di quell’impasto che sarebbe rimasto intatto per migliaia di anni. Il cemento romano è oggetto di studio da molti scienziati di tutto il mondo, che rimangono tutt’oggi affascinati dalle straordinarie caratteristiche del conglomerato. Nonostante questo, però, la “ricetta” di questo cemento resta quasi un mistero: sebbene siano stati scoperti gli “ingredienti”, le dosi rimangono ancora incerte. Una ricerca portata avanti dalla geologa Marie Jackson della University of Utah però tenta di fare chiarezza sul segreto del cemento romano.

Com’è formato?

Il conglomerato utilizzato dai romani era formato da un mix di elementi semplici e alla portata degli antichi operai: cenere vulcanica, calce, acqua di mare e sedimenti di roccia vulcanica. Le proporzioni precise rimangono ancora inesatte, il che rende tutto molto indefinito. Questo amalgama rendeva le strutture, soprattutto quelle portuali, indistruttibili e addirittura più durature con il passare del tempo. Dal punto di vista chimico, il materiale risultava essere resistente in quanto l’acqua di mare, reagendo con il materiale vulcanico, dava vita a minerali resistenti. Queste reazioni, dette pozzolaniche, dissolvevano le ceneri presenti nella malta, formando così due minerali a strati e aumentandone le proprietà adesive.

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I minerali in questione sono chiamati tobormite alluminosa, un minerale dal reticolo cristallino ancora ignoto e di difficile classificazione. Esso, come spiega la Jackson “si forma quando calce, acqua di mare e cenere vulcanica vengono a contatto, generando una reazione poco termica che si accresce lungo il tessuto del calcestruzzo, spesso in associazione con altri minerali, come zeolite e phillipsite”. I cristalli di questo minerale si formano in condizioni di alte temperature e il dilemma sta nel fatto che il processo degli antichi Romani era rapido. Diverse conclusioni e differenti teorie però non hanno permesso di arrivare ad una ricetta perfetta.

Resistente ma anche sostenibile

Era proprio la formazione di questi minerali a rendere il calcestruzzo particolarmente solido. Per questo Marie Jackson non ha dubbi nel definire il cemento romano migliore di quello che realizziamo oggi: “Rispetto a quello romano, il cemento di Portland, quello che usiamo comunemente da 200 anni, in queste condizioni non durerebbe più di mezzo secolo prima di iniziare a erodersi”. Questo perché, sempre secondo la Jackson, nel cemento Portland non c’è il connubio calce-cenere vulcanica e questo porta il cemento odierno a fratturarsi facilmente, al contrario di quello romano. Ma secondo le analisi effettuate il cemento romano era anche ecologico: esso infatti disperdeva nell’atmosfera circa il 7% in meno di CO2 rispetto a quello prodotto oggi.

La ricetta del cemento

Seppur le quantità rimangono ancora sconosciute, gli elementi del cemento romano sono ben noti. Il primo ingrediente fondamentale del cemento romano era la calce viva, realizzata dalla cottura di pietre calcaree. Alla calce veniva poi aggiunta acqua, in quantità non nota, e si mescolava successivamente l’impasto con la cenere vulcanica, ottenendo una malta resistente: secondo l’architetto e ingegnere del primo secolo a.C. Vitruvio, il rapporto ideale per realizzare un’ottima miscela era tre parti di cenere vulcanica e una parte di calce. Ottenuta la malta essa veniva poi mescolata con pezzi di mattoni o tufo, proprio come oggi vengono aggiunti gli aggregati inerti all’impasto cementizio.

Estrazione di provini da resti romani in Toscana. PH: unews.utah.edu

I Romani utilizzavano prevalentemente la cenere vulcanica proveniente da un deposito chiamato Pozzolane Rosse e situato a 12 km a sud-est di Roma, e proprio questa cenere donava al calcestruzzo romano resistenza, aderenza e sopratutto durabilità. I costruttori romani utilizzavano però anche un altro tipo di cenere vulcanica, specialmente per realizzare strutture portuali direttamente a contatto con l’acqua salata del mare. Il suo nome era Pulvis Puteolanus, veniva estratto da giacimenti in prossimità del Golfo di Napoli e, secondo la Jackson, “giocava in realtà un ruolo fondamentale nel ritardare e attenuare il deterioramento quando l’acqua filtrava attraverso di esso.

Le strutture ancora vive

Come già detto, le strutture costruite con questo particolare cemento sono per lo più costruzioni marine, come porti o frangiflutti: ne è un esempio l’antico porto romano Portus Cosanus in provincia di Grosseto. Tuttavia, visto il grande successo duraturo di questo conglomerato, anche importanti edifici, tutt’ora simbolo dell’ingegneria antica Romana, sono stati costruiti utilizzando questa particolare tecnica: il possente Pantheon di Roma, oppure i caratteristici Mercati di Traiano, che sono ancora lì con pochissimi segni di deterioramento. Il calcestruzzo vecchio di duemila anni fa invidia alle più sofisticate tecniche di costruzione odierne e sottolinea quanto i romani siano stati un popolo rivoluzionario nel settore dell’ingegneria e delle costruzioni.

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Redazione