Le isole di plastica nel Pacifico sono più grandi del previsto

Tempo fa vi avevamo parlato di Boyan Slat, un ragazzo di poco più di 20 anni dell’Università Tecnica di Delft che aveva ideato The Ocean CleanUp, il primo e vero progetto per ripulire gli oceani dall’enorme quantità di rifiuti che galleggiano sulla sua superficie. Ma vi avevamo descritto anche l’idea di due ragazzi australiani, The Seabin Project, e le varie iniziative ecologiche di marchi di abbigliamento importanti, tutte con il fine comune di salvaguardare la salute degli oceani.

Ma nonostante la vicinanza di CloseUp a questa delicata tematica e soprattutto nonostante le varie iniziative in giro per il mondo, molto spesso bisogna scontrarsi con la dura realtà dei fatti. La dura realtà in questo momento ci dice che non si è fatto abbastanza, o che forse non si è fatto proprio nulla per arginare questo fenomeno che ormai è fuori controllo e che ci restituisce un oceano malato e un ambiente prossimo al collasso. Questo è infatti quello che emerge da un recente studio pubblicato su Scientific Report.

Pacific Trash Vortex

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Era il 1997 quando il capitano Charles Moore ritornava nel sud della California dopo aver terminato una gara di vela tra Los Angeles e le Hawaii. Fu in quel preciso istante che lui e il suo equipaggio presero visione per la prima volta della spazzatura galleggiante nel North Pacific Gyre, una delle regioni più remote dell’oceano Pacifico. Ecco cosa scrisse in seguito a questa scoperta in un saggio di Storia Naturale:

Mentre guardavo il ponte dalla superficie di quello che avrebbe dovuto essere un oceano incontaminato, mi trovavo di fronte, a perdita d’occhio, alla vista della plastica. Sembrava incredibile, ma non ho mai trovato un punto chiaro. Nella settimana in cui ho attraversato l’alta subtropicale, non importa a che ora del giorno guardassi, i detriti di plastica galleggiavano dappertutto: bottiglie, tappi di bottiglia, involucri, frammenti.

Questa grande isola di plastica si è formata a partire dagli anni 80 a causa dell’azione della corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord Pacifico (North Pacific Subtropical Gyre), dotata di un particolare movimento a spirale in senso orario; il centro di tale vortice è una regione relativamente stazionaria dell’Oceano Pacifico che permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro. La concentrazione stimata della plastica è di 3,34 × 10^6. A 10 m di profondità è stata individuata una concentrazione pari a poco meno della metà di quella in superficie, e infatti in alcuni punti molto densi è possibile addirittura camminarci sopra. La sua estensione non è nota con precisione, ma gli ultimi studi non sono per niente rassicuranti.

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Più grande di Francia, Germania e Spagna

La vasta discarica di rifiuti di plastica che rotea nell’Oceano Pacifico è ora ufficialmente più grande di Francia, Germania e Spagna messe insieme, molto più grande di quanto si temesse in precedenza, e sta crescendo rapidamente secondo Laurent Lebreton, autore principale dello studio pubblicato nella rivista Scientific Report. I ricercatori con sede nei Paesi Bassi hanno utilizzato una flotta di imbarcazioni e aerei per scansionare l’immenso accumulo di bottiglie, contenitori, reti da pesca e microparticelle conosciute come “Great Pacific Garbage Patch” (GPGP) e hanno trovato uno stupefacente accumulo di rifiuti di plastica. Sono circa 80.000 le tonnellate di plastica galleggiante attualmente nel GPGP, peso che può essere equiparato a quello di 500 Boeing 747 e che è fino a 16 volte superiore rispetto alla massa di plastica calcolata negli studi precedenti. Questa discarica galleggiante ora contiene circa 1,8 trilioni di pezzi di plastica, il che pone una seria minaccia alla vita marina.

L’interno di una carcassa di albatros sull’isola di Midden Atoll. PH: alessandrosicurocomunication.com

Le microplastiche, piccoli frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 mm che costituiscono la maggior parte degli articoli nel GPGP, possono entrare nella catena alimentare quando ingeriti dai pesci. Gli inquinanti che contengono diventano più concentrati mentre risalgono la rete alimentare, fino ai predatori di alto livello come squali, foche e orsi polari. Un altro impatto ambientale importante viene dai detriti più grandi, in particolare dalle reti da pesca, che uccidono la vita marina intrappolando pesci e animali, soprattutto le tartarughe, in un processo noto come “pesca fantasma“.

Come intervenire

Il team di ricerca di The Ocean Cleanup Foundation è stato sorpreso soprattutto dall’accumulo di oggetti di plastica di dimensioni più grandi, che rappresentavano oltre il 90% di tutta la massa della GPGP. Ciò potrebbe offrire un barlume di speranza, poiché le materie plastiche più grandi sono molto più facili da trovare e da pescare rispetto alle microplastiche. Questo però rappresenta solamente la superficie del problema, perché i livelli di inquinamento plastico negli strati in profondità e sul fondo marino al di sotto del GPGP rimangono sconosciuti. Intervenire risulta quindi molto complicato, ma Laurent Lebreton desidera sottolineare che il danno globale causato dai rifiuti di plastica può essere mitigato solo da un’azione coordinata:

La gente guarda la quantità di attrezzi da pesca e punta il dito sull’industria della pesca, ma poi anche loro mangiano normalmente il pescato. Il problema non è tanto questo o quel settore, o quella determinata regione rispetto ad un’altra, il problema è il modo in cui consumiamo e viviamo. Siamo una società usa e getta, e le materie plastiche monouso rappresentano perfettamente la realtà in cui viviamo. Dobbiamo agire seriamente su questo fronte, solo così risolveremo questo problema su scala globale”.

Published by
Massimiliano Russo