Siamo invasi dai piatti riutilizzabili | Siamo sicuri che sia davvero così? Ecco cosa dicono gli esperti e non c’è da sorridere

Uno studio rivelatore (pexels.com) - www.buildingcue.it
Inondati di piatti riutilizzabili. Ma siamo certi che sia davvero così? Ecco cosa ne pensano gli esperti in materia.
Spesso ci sembra di compiere scelte eco-responsabili, con prodotti che mostrano apparentemente un impegno verso la sostenibilità, presentandosi con etichette rassicuranti.
Tuttavia, la realtà non sempre rispecchia le apparenze. In un mercato sempre più affollato di offerte che promettono rispetto per l’ambiente, risulta complesso distinguere il vero dall’illusorio.
Ciò che dovrebbe rappresentare un progresso potrebbe essere un inganno. Tra definizioni ambigue, etichette poco chiare e strategie di marketing ben congegnate, nasce quindi il dubbio.
Stiamo realmente riducendo l’uso della plastica oppure siamo soltanto vittime di un’illusione ben orchestrata? Approfondiamo i dettagli dello studio.
Il report di Legambiente
Di recente, Legambiente ha pubblicato il dossier “Usa e getta o riutilizzabile? Facciamo chiarezza”, come riportato da Il Fatto Alimentare. Questo studio ha messo in discussione molte stoviglie in plastica vendute come riutilizzabili, analizzando 317 articoli di 70 marchi diversi, presso oltre 60 punti vendita, tra supermercati e negozi specializzati. I dati raccolti rivelano una realtà ben diversa da quella promessa: ciò che viene definito riutilizzabile, spesso in pratica, è trattato come un prodotto monouso, compromettendo così lo spirito della Direttiva europea SUP (Single Use Plastic).
Un problema significativo riguarda, per l’appunto, le etichette. Il 38% dei prodotti analizzati non fornisce alcuna indicazione sul numero di riutilizzi consentiti, rendendo impossibile capire se e quanto possano effettivamente essere riutilizzati. Spesso si trovano diciture generiche come “eco” o “lavabile”, ma sprovviste di informazioni su test, standard tecnici o certificazioni.

Il vuoto normativo
L’assenza di una definizione normativa chiara per il termine “riutilizzabile” costituisce un altro aspetto critico. Né la Direttiva SUP né il decreto italiano DLgs 196/2021 chiariscono i criteri per valutare la reale riutilizzabilità di un prodotto. Questa lacuna ha agevolato l’ingresso sul mercato di molteplici articoli in plastica rigida o semirigida, che sfruttano l’appeal ecologico meramente a fini commerciali. Questa situazione rischia di svantaggiare chi opera realmente secondo le regole, come i produttori di stoviglie in bioplastica compostabile, che rispettano le normative ambientali, ma faticano a competere con alternative più economiche e meno trasparenti.
Nel suo rapporto, come riportato da Il Fatto Alimentare, Legambiente sollecita il bisogno di una normativa più dettagliata, in grado di definire criteri oggettivi per identificare i prodotti riutilizzabili, comprensivi di test specifici e soglie minime di resistenza. Inoltre, è indispensabile rafforzare i controlli per combattere il greenwashing e tutelare i cittadini da messaggi ingannevoli. Nel frattempo, anche i consumatori possono fare la loro parte, scegliendo materiali veramente riutilizzabili, come metallo o ceramica, oppure optando per prodotti compostabili certificati quando non si può evitare l’uso di articoli monouso.