Se ne parlava da tempo fra gli addetti ai lavori (in questo caso edili, per la precisione), da qualche giorno è diventato realtà: con il nuovo D.M. dello scorso 15/07/2022, firmato dal Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, inizia ufficialmente una nuova fase per i materiali edili derivanti dalle attività edilizie di demolizione e costruzione (o, per essere più precisi con l’attuale stato dell’arte, “ex” rifiuti).
Il Ministero della Transizione Ecologica (d’ora in poi MiTE per brevità), infatti, col Decreto di cui sopra ha sancito che i materiali derivanti dai lavori di demolizione e costruzione cessano di essere considerati a priori rifiuti e che, a determinate condizioni, questi possano essere reimmessi nel ciclo produttivo e riutilizzati nel settore edilizio per la realizzazione di nuove opere.
Il nuovo Decreto Ministeriale è l’ennesima tappa di un percorso che da decenni mira al contenimento dell’impatto ambientale derivante dalla produzione di rifiuti edili provenienti da operazioni di demolizione e costruzione. Si stima infatti che nel continente europeo i rifiuti derivanti dal settore edile siano circa 1/3 della totalità prodotta in ogni ambito; un dato che cozza in modo netto con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e di sviluppo sostenibile.
Ecco quindi che, anche complice una previsione di crescita edilizia esponenziale da qui al 2050 (anno in cui la popolazione mondiale dovrebbe sfiorare i 10 miliardi), non si può più prescindere da una gestione più oculata dei rifiuti edili. Continuando di questo passo, infatti, nel 2050 il fabbisogno di risorse naturali per il settore edilizio sarebbe quello equiparabile a 3 pianeti Terra (peggiorando notevolmente il già negativo dato dell’Eart Overshoot Day 2022), va da sé quindi che un cambio di rotta sia quantomeno doveroso.
La soluzione al problema è rappresentata dal concetto di edilizia circolare, per il quale la vita di un materiale da costruzione che viene impiegato in un processo edilizio non coincide con quella dell’opera cui fa parte, in quanto questa entra in una più ampia analisi di ciclo di vita (Life Cycle Assessment, abbreviato in LCA). In altre parole, sin dal concepimento di un processo edilizio si stabiliscono durate ordinarie della vita dei vari materiali da costruzione e, conseguentemente, modalità di riciclo, recupero e reimpiego nel settore edilizio.
Questa nuova concezione nello sfruttamento dei materiali da costruzione, all’insegna del recupero e del reimpiego (da cui End of Waste, ovvero fine del rifiuto), ha una stretta correlazione con la mitigazione del cambiamento climatico. Uno sfruttamento razionale delle risorse edilizie “di seconda mano” consentirebbe infatti un notevole abbattimento delle emissioni di CO2 (fino al 60%), con l’obiettivo di arrivare al 2050 con una riduzione assoluta di anidride carbonica di circa 130 milioni di tonnellate!
Prima dell’entrata in vigore del Decreto di cui sopra, la disciplina del recupero dei rifiuti edili in Italia finalizzata alla End of Waste è regolamentata dal Testo Unico dell’Ambiente n. 152/2006 e dalle successive modificazioni ed integrazioni (l’ultima delle quali con la Legge n. 79 del 29 Giugno 2022). Nello specifico, i contenuti relativi alle disposizioni di specifico interesse si ritrovano nella Parte Quarta del Codice, intitolata “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” e costituita dagli articoli che vanno dal 177 al 266.
In particolare, nel punto b) dell’art. 184 del Codice si fa riferimento ai rifiuti prodotti dalle attività di demolizione e costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo come rifiuti speciali; tali rifiuti, secondo quanto riportato nell’art. 184-ter, cessano di essere considerati tali quando sottoposti a recupero (riciclaggio incluso) e, inoltre, se rispettosi delle seguenti condizioni specifiche:
Il Testo Unico Ambientale, quindi, prevede già la possibilità di poter recuperare i rifiuti derivanti dalle operazioni di demolizione e costruzione; questo, unitamente alle disposizioni dell’antecedente D.M. del Ministero dell’Ambiente del 05/02/1998 e dei Regolamenti dei Decreti del Ministero dell’Ambiente n. 161 del 12/06/2002 e n. 269 del 17/11/2005, detta i criteri generali della disciplina del trattamento dei materiali edili in assenza di criteri specifici in merito.
A partire dal corpus normativo di cui sopra, i primi passi per una vera e propria politica dell’End of Waste dei materiali edili derivanti dai processi di demolizione e costruzione sono stati compiuti con la Legge n. 128 del 02/11/2019, che ha integrato l’art. 184-ter introducendo un sistema autorizzativo di controlli facente capo al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (in breve SNPA). Le varie ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale) e l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) hanno infatti il compito di controllare in modo campionario che le varie condizioni affinchè un rifiuto edile cessi di essere tali siano conformi alle normative vigenti. Questo si traduce concretamente in azioni quali la conformità della filiera di recupero degli impianti, l’analisi dei materiali di ingresso e uscita dal punto di vista fisico-chimico e documentale e la ratifica della presenza di apposita marcatura CE per il materiale recuperato dalle operazioni di demolizione e costruzione.
L’SNPA, dopo una prima fase di controlli a spot, con la Delibera n. 67 del 06/02/2020 ha approvato l’entrata in vigore delle Linee Guida n. 23/2020 per l’effettiva applicazione della politica dell’End of Waste ai sensi della Parte Quarta del Testo Unico Ambientale; ad ARPA ed ISPRA viene adesso affidato il compito di un controllo capillare in tutto il territorio nazionale circa il rispetto della normativa vigente, con vere e proprie ispezioni regolamentate da apposita metodologia operativa per la scelta dei campioni di materiale da sottoporre a controllo.
Col D.M. del 15/07/2022 vengono introdotti quei criteri specifici mancanti nella disciplina della materia del trattamento dei materiali edili provenienti da demolizione e costruzione. Strutturalmente è costituito da 8 articoli e 3 allegati, nei quali sono riportati i seguenti contenuti salienti:
Il D.M., pensato e scritto per dare continuità al corpus normativo vigente, presenta però delle criticità di non poco conto, che potrebbero minarne l’originaria bontà. Prima fra tutte, il fatto non trascurabile che si faccia esplicito riferimento solamente ai rifiuti inerti non pericolosi (quali quelli, per l’appunto, derivanti da attività edili di demolizione e costruzione). Vengono quindi lasciate allo status di rifiuti altre tipologie di materiali, quali ad esempio quelli sotterrati, che non avranno pertanto altra fine se non quella dello smaltimento in quanto tali (a meno di prossimi, ulteriori aggiornamenti normativi).
Altra perplessità risiede nel fatto che, ad esempio, sebbene il D.M. abbia come soggetto principale il produttore di aggregato recuperato, non risulta comunque esente da doveri normativi il produttore del rifiuto oggetto di recupero (con il rischio di dover regolamentare con un’unica disposizione due figure che hanno ruoli, compiti ed obiettivi completamente slegati fra loro).
Ad aggiungersi vi sono alcune piccole lacune, come la non meglio precisata via preferenziale applicabile ai materiali derivanti da demolizione selettiva o alla difficoltà effettiva della gestione operativa (specie per impianti di recupero di piccole dimensioni) nell’ottenimento delle verifiche di conformità degli aggregati recuperati, dal momento che queste devono pervenire ai singoli lotti di materiale recuperato e non al complesso cumulato. Insomma, la normativa c’è, ma sembrerebbe al momento alquanto acerba e incompleta per una corretta e capillare applicazione; non resta che aspettare eventuali sviluppi (e miglioramenti) futuri.