Strandbeest, le artistiche creature mosse dal vento
Tutti noi siamo abituati a considerare la scultura un’arte tramite cui catturare un istante, un momento, una sorta di fotografia materiale che sopravvive agli anni, ai secoli, suscitando emozioni indelebili a generazioni di fruitori. Questo è possibile grazie alla proprietà intrinseca di un’opera scultorea di essere fissa, nascendo dalla modellazione di uno o più materiali grezzi (spesso non convenzionali, come nel caso di “Long Term Parking”) e dal genio dell’artista che la concepisce.
E’ poi indubbiamente vero che particolari opere trascendano questa caratteristica di immobilità, grazie a dei dettagli o delle tecniche esecutive impareggiabili. Giusto per fare un paio di esempi, si pensi a “Il Ratto di Proserpina” e alla straordinaria fedeltà con cui la mano di Plutone affonda nella coscia di Proserpina quasi come fosse vera carne.
O, ancora più eclatante, al “Cristo Velato” e al realismo fuori dal mondo del sudario (realizzato in marmo, come tutto il resto dell’opera!) che copre Gesù. Un risultato così incredibile che molti viaggiatori, turisti e addirittura alcuni studiosi lo hanno considerato frutto di un’alchimia di “marmorizzazione” compiuto dal Principe di Sansevero.
Opere d’arte di livello assoluto, forse impareggiabile, che trasmettono vita e dinamicità pur essendo eternamente scolpite nella pietra.
Al contrario, esistono delle “sculture” che, pur essendo inanimate, sono effettivamente mobili e dinamiche tanto da sembrare vive. Stiamo parlando degli Strandbeest dell’artista olandese Theo Jansen, che mossi dal vento appaio quasi come leggiadre creature provenienti da altri mondi.
Chi è Theo Jansen, il “padre” degli Strandbeest
Prima di descrivere queste particolari creazioni, una nota di merito per colui che le ha ideate. Si tratta, come anticipato, dell’artista olandese Theo Jansen, uno dei massimi esponenti della cosiddetta scultura cinetica. Classe ’48, poco dopo i 30 anni inizia a rendersi famoso nel mondo con le sue prime creazioni, ben lontane da quelle riportate nel titolo. La prima è “Ufo”, e consiste in un grosso disco volante nero (largo ben 4 metri) costituito da un’intelaiatura di tubi in PVC e gonfio di elio. L’artista lo lascia volare sulla città di Delft nel 1980, seminando lo scompiglio fra gli attoniti abitanti emettendo suoni e luci. Per la cronaca, l’opera non venne più recuperata, e secondo lo stesso artista potrebbe addirittura essere arrivata in Belgio.
La vena di artista-inventore non si esaurisce certo qui, infatti Jansen qualche anno dopo stupisce ancora tutti con “The Painting Machine”. In sostanza si tratta di una pistola a spruzzo sensibile alla luce. Quando la luce cadeva sulla cella luminosa, la pistola a spruzzo smetteva di spruzzare, funzionando solo quando non c’era luce. La cella luminosa era situata all’estremità di un tubo, quindi avrebbe reagito solo alla luce che colpiva direttamente il tubo. Lo spray, issato su una costruzione in legno che ne permette i movimenti, reagisce ai punti scuri e luminosi della stanza dipingendoli sul muro posto di fronte. L’opera crea un’immagine fotografica, in cui ogni prospettiva svanisce. Tutti gli oggetti nell’immagine hanno le stesse dimensioni degli oggetti reali.
Tuttavia, le opere cui il nome di Theo Jansen è strettamente legato sono gli Strandbeest, letteralmente “animali da spiaggia”. Abbiamo aspettato fin troppo, scopriamo finalmente di cosa si tratta!
Gli Strandbeest, a metà fra arte e ingegneria
A cavallo fra anni ’80 e ’90, Theo Jansen pone le basi per quella che potremmo definire quasi “arte magica”: quella degli Strandbeest. In realtà, la prima serie di “animali da spiaggia”, Animaris Vulgaris, non era dinamica, bensì solamente adagiata sulla spiaggia per poter essere ammirata. I materiali impiegati sono però sempre gli stessi, ossia semplicissimi tubi in PVC gialli (di quelli che dagli anni ’80 in Olanda si usano per convogliare i cavi elettrici) e nastro adesivo. Due soli ingredienti per una ricetta incantata.
Jansen però non si ferma, anzi: il suo pensiero artistico vola già al prossimo step di opere, quelle in grado di muoversi autonomamente. Ai materiali sopra detti se ne aggiungono altri quali fascette fermacavi, bottiglie in plastica o elastici, tutti materiali di risulta e facilmente reperibili. Ma, soprattutto, l’artista riesce nell’impresa di creare un meccanismo di locomozione semiautomatico incredibile. Il fulcro delle opere è negli 11 segmenti (con rapporti fra le lunghezze fissi) che lo stesso artista definisce “numeri sacri”, che permette il moto delle sculture sospinte dal vento.
Nasce così la seconda serie di Strandbeest, Animaris Currens Vulgaris, la prima semovente grazie a teli/vele che imbarcano il vento.
Da qui in poi, la fantasia e la tecnica di Jansen ha prodotto ulteriori evoluzioni dell’originaria idea. La serie Animaris Gubernare Adulescens è in grado di immagazzinare aria per mezzo di “batterie” di bottiglie di plastica alimentate da pompe per biciclette direttamente azionate durante il moto della creatura. Questi Strandbeest possono quindi muoversi anche in assenza di vento, sembrando ancora più vivi.
Pensate sia finita qui? Ebbene no!
L’evoluzione temporale degli Strandbeest
Vale la pena ripercorrere i 13 periodi (così identificati dallo stesso Jansen) che contraddistinguono l’evoluzione degli Strandbeest.
Partiamo col periodo Pregluton (1986-1989), non esistono ancora creature fisiche realizzate con tubi in PVC e nastro adesivo. Era solo una linea (Lineamentum) che si spostava sullo schermo del computer, uno studio preliminare di animali virtuali, forme di vita soggette ad un’evoluzione artificiale. Segue poi il Gluton (1990-1991), il periodo del nastro adesivo e dei tubi, passato a sperimentare ed ottimizzare assemblaggi e forme delle opere. Appartiene a questo periodo la serie Animaris Vulgaris.
Fra 1991 e 1993 c’è il periodo Chorda, in cui si ritrova la serie Animaris Currens Vulgaris, contraddistinta dall’evoluzione della legatura mediante fascette al posto del nastro adesivo. Ottimizzazione che si spinge oltre col periodo Calidum (1993-1994) , dove Jansen sperimenta positivamente l’uso della pistola termica per ottimizzare i giunti fra le “ossa” delle sue opere. Nel seguente Tepideem (1994-1997) entrano in gioco i branchi di opere sulle spiagge. Un po’ avulso il periodo Lignatum fra 1997 e 2001, in cui l’artista sperimenta l’impiego del legno (come con le opere “Rhinoceros Lignatus” e “Rhinoceros Transport”). Seguono periodi di grandi innovazioni, quali:
– Vaporum (2001-2006), con la citata possibilità di moto senza vento;
– Cerebrum (2006-2008), con l’introduzione di sensori per rendere “intelligenti” le opere nei confronti dell’ambiente esterno;
– Suicideem (2009-2011), dove sulle spiagge si raggiunge l’ottimo prestazionionale fino alla rottura dello Strandbeest (vi appartiene la serie Animaris Gubernare Adulescens).
Si prosegue con Aspersorium (2012-2013) e le creature scodinzolanti, Aurum (2013-2015) e le grandi vele per il moto con poco vento, fino a Bruchum (2016-2019) coi velocissimi, evoluti bruchi 2.0 .
Dal 2020, il semplice moto diventa voglia di volo col periodo Volantum (2020-2021) con la spettacolare opera Ader. La fantasia di questo incredibile artista sembra non avere limiti, quale sarà il prossimo step evolutivo dei suoi magici Strandbeest?