Dalla Svizzera le prime analisi sui detriti del ponte di Genova: cavi corrosi e guaine protettive mancanti
Un rapporto sarà consegnato dall’EMPA per metà gennaio, ma le cause del crollo risultano ormai chiare: cavi corrosi e guaine protettive mancanti.
I laboratori incaricati di eseguire le analisi sono quelli del Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca (Empa) con sede nei pressi di Zurigo.
Il 7 novembre i detriti sono arrivati nei laboratori dell’Empa dove sono iniziate le analisi.
Notizia confermata dallo stesso Empa che con una nota del portavoce Rainer Klose assicurava che i reperti fossero arrivati e sistemati con cura da due tir partiti da Genova lo scorso novembre.
Il lavori nei laboratori dell’Empa saranno eseguiti “a porte chiuse”, precisa in una nota il Laboratorio federale.
Come già sappiamo, sono stati nominati lo scorso 13 settembre dal giudice per le indagini preliminari di Genova tre periti incaricati di coordinare le operazioni di sopralluogo, e catalogazione dei resti dei monconi del Ponte Morandi.
I tre periti nominati dal giudice sono Giampaolo Rosati dell’Università di Milano, Massimo Losa dell’ateneo di Pisa e Bernhard Elsener del Politecnico federale (ETH) di Zurigo. Tutti e tre sono esperti di ingegneria delle costruzioni e della conservazione dei materiali.
Giampaolo Rosati, dell’anno 1960, docente di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano, cordinatore dei laboratori del DICA (Dipartimento ingegneria civile e ambientale).
Massimo Losa, classe 1964 originario di Lauria (Pz). Losa è docente ordinario del Dipartimento di ingegneria civile e industriale dell‘Università di Pisa, di cui è anche vicedirettore, e guida il corso di laurea in Ingegneria civile ambientale edile, insegnando Fondamenti di ingegneria stradale e Teoria e progetto delle infrastrutture stradali.
Bernhard Elsener, nato nel 1952, è dal 2007 professore titolare all’ETH, dove aveva conseguito il dottorato nel 1983. Dal 1998 è anche professore associato di scienza e tecnologia dei materiali alla facoltà di ingegneria dell’Università di Cagliari, si legge sul sito web di quest’ultima. Dal 1986 – indica ancor il sito – si occupa della durabilità delle strutture in cemento armato. Elsener è stato invitato a presentare le sue ricerche a numerose conferenze internazionali. Il professore è anche titolare di finanziamenti della Regione Autonoma della Sardegna per la ricerca “Armature resistenti alla corrosione”.
Sarà la loro relazione, discussa in sede di incidente probatorio, a rispondere a un interrogativo importante (uno dei tre a cui sono chiamati a rispondere: gli altri quesiti a cui i periti dovranno rispondere sono: la descrizione dello stato dei luoghi dopo il crollo e le condizioni di manutenzione del viadotto prima del 14 agosto) ovvero quali sono le modalità di demolizione che consentano di conservare le prove.
Tra i materiali trasportati all’Empa ci sono anche i reperti numero 132 e 134, di grandi dimensioni, ed altri pezzi più piccoli. Il reperto numero 132 è in particolare considerato un pezzo nevralgico per verificare lo stato di corrosione degli stralli, i tiranti ricoperti di cemento armato che sostenevano il ponte. Si tratta di un tirante strappato lungo 3,5 metri che era esposto sul lato mare del viadotto.
Le analisi effettuate in laboratorio devono essere ora confrontate con quelle fatte sul posto, su altri detriti del ponte. I tre esperti incaricati dal giudice di esaminare i detriti del ponte, tra cui il professore dell’EPFZ Bernhard Elsener, dovranno quindi consegnare il loro rapporto finale. Questo documento dovrebbe essere pronto entro la metà di gennaio.
E’ stato sotto sequestro in un hangar a Genova prima di essere trasportato a Zurigo, dove è attualmente sotto la super-perizia.
Confermate quindi le prime ipotesi di corrosione dei cavi interni allo strato di cemento degli stralli (tiranti che sorreggono l’impalcato) che sembrano essersi letteralmente strappati dalla sommità del sostegno, provocando il collasso dell’intera struttura. Come ben ricordiamo alcuni erano già stati sottoposti a riparazioni preventive.
“Il degrado della struttura diventa un nuovo elemento accusatorio nei confronti di Autostrade, che doveva eseguire controlli periodici sul viadotto – scrive il quotidiano – Soprattutto: dimostra in maniera forse definitiva come fosse impossibile avere il polso reale sulla tenuta del manufatto, senza condurre ispezioni dentro il rivestimento in cemento che proteggeva gli stralli. Era l’aspetto più critico del Morandi ed era stato segnalato per anni dai consulenti e dal personale stesso di Autostrade”.
“Purtroppo i reagenti chimici hanno bisogno di tempi tecnici che non coincidono con quelli di demolizione – spiegano a Palazzo di Giustizia, come riporta la Repubblica – ci hanno detto che servono almeno 30 giorni per avere una risposta”.