Tragedia di Stava: onda maledetta
Stava risuona forse piuttosto lontano come ricordo, quasi dimenticato ed ignorato, ma ciò che accadde quel maledetto 19 Luglio del 1985 alle ore 12:00, fu una delle più grandi tragedie. Si verificò un collasso dell’arginatura del bacino superiore della miniera di Prestavel, che a sua volta andò a precipitare su quello sottostante, il quale subendo questo immenso carico, crollò anche esso. Si origina da quell’ istante una massa fangosa di furia distruttiva che viene giù alla velocità di circa 90 km/h, spazzando via tutto ciò che incontra lungo il suo cammino: persone, alberi, case, auto, alberghi; non risparmia nulla, ed arresta la sua ira, confluendo a valle, all’interno del torrente Avisio. I dati riportati circa la catastrofe, sono tragici: 268 persone decedute, tre alberghi andati in frantumi, 53 case rase al suolo, circa 8 ponti demoliti. Lo spessore del fango variava tra i 20/40 cm ricoprendo un’area di 435.000 m2 , estesa per 4.2 Km. Nell’arco di 30 minuti un intero paese è stato raso al suolo e di certo ripercorrere questi numeri, raccontare quanto accaduto non è facile, soprattutto trovare le parole per descrivere questi eventi, è un dolore che ritorna ed irrompe senza pietà.
La miniera sfruttata per l’estrazione della fluorite sorgeva alle pendici del monte Prestavel, ed a Pozzole (sopra Stava), si decise di costruire un bacino per far confluire il materiale di scarto prodotto dall’attività di estrazione in miniera. L’argine per obblighi di legge non avrebbe potuto superare i 9 metri, perché dai 10 in su ricadeva nel concetto di diga e non di terrapieno, e veniva sottoposto a misure più restrittive di costruzione. Stranamente arrivò a misurare 25 metri, e ulteriore mistero, tale diga non fu mai segnalata da nessuna carta geografica. Il bacino cosi fatto non riusciva a mantenere il volume di materiali di scarto e si optò per una seconda realizzazione a monte di questo. Il tecnico incaricato mise a verbale che il tutto era al limite, e come al solito fu archiviato. Il gap di distanza tra il bacino superiore ed inferiore giungeva cosi a quota 50 metri di argine, realizzato su un terreno del tutto instabile ed a livello idrogeologico inadatto. Molte analogie e forse troppe ci riportano al famoso disastro del Vajont (http://building.closeupengineering.it/disastro-del-vajont-la-catastrofe-costruita/9275/ ). La causa del crollo venne successivamente identificata nella cronica instabilità delle discariche, le quali non possedevano dei coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il franamento.
Un triste epilogo
Il procedimento penale si concluse nel giugno 1992 condannando 10 imputati per i reati di disastro colposo ed omicidio plurimo. Come sempre si scatenò il cordoglio da parte di tutti, varie scuse e risarcimenti, ma una mancata giustizia. La nostra redazione ritiene che sia giusto parlarne oggi e sempre, ricordando le 268 anime volate via, donne, uomini, bambini che hanno chiuso i loro occhi per colpa di altri uomini. Sicuramente il nostro sguardo rivolto al cielo, pensando a loro, li farà rivivere in un paradiso di angeli, dimenticando l’inferno che hanno vissuto su questa,a volte, “maledetta” terra.