Architettura

L’anfiteatro campano, gemello del colosseo

L’Anfiteatro campano è secondo solo al Colosseo per importanza e dimensioni, si trova in un’area verde, armoniosamente inserita tra altre testimonianze della città romana: l’Anfiteatro della Repubblica, primo anfiteatro romano in muratura; l’edificio ottagonale di epoca imperiale, e il portico ovale che circonda l’Anfiteatro Reale.

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L’anfiteatro e la storia

L’anfiteatro era una magnifica macchina da spettacolo, capace di contenere fino a 60.000 spettatori, dotata di ampi sotterranei per ospitare sontuosi spettacoli; essa sostituì l’antica arena (130-90 a.C.), famosa anche per la rivolta di Spartaco del 73 a.C., nel I sec. d.C.

La costruzione di due anfiteatri, in un’area già occupata da una vasta necropoli, è strettamente correlata all’origine delle lotte dei gladiatori; non solo, anche giochi funerari tenuti in onore di personaggi illustri e accennando alla loro relazione, una tomba ricostituita nello spazio tra le due arene.

Oggi l’ingresso è segnato dall’unica colonna decorata raffigurante Ercole e Silvano. Esistono ancora gli archi del portico, costruito in solida pietra del Monte Tifata, incorniciato da mezze colonne dorico-toscane; poco rimane degli altri tre ordini che si innalzano per un’altezza di circa 44 metri. Il monumento culmina in un pavimento in laterizio elegantemente abbellito da finestre e lesene e sormontato da un cornicione lungo il quale massicce mensole sorreggono colonne per il velo che nasconde lo spettatore.

L’anfiteatro è scandito da busti di divinità che si affacciano dalla chiave di volta del primo portico. Gli dei di Capua guidano le varie parti della grotta, svolgendo funzioni altrove assegnate alla numerazione, rendendola unica per tipologia. Particolarmente emozionanti sono le vedute degli unici due archi che conservano ancora le immagini di Diana e Giunone.

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La ricchezza delle altre opere ereditate

I pochi esemplari del Pantheon Capuano visibili in zona sono Mercurio, Minerva, Apollo e Mitra nel Museo dei Gladiatori, e busti virili lungo il portico. La maggior parte degli 80 busti andarono perduti nel medioevo, furono portati via e alcuni di essi furono riutilizzati come spolia, dando valore all’architettura di Nuova Capua, sottolineando la continuità con la città antica.

Oltrepassati i due portici esterni sorretti da possenti colonne in laterizio, si accede ad un chiostro originariamente decorato con stucchi e marmi. Da qui, attraverso un preciso sistema di scale ancora parzialmente visibile, lo spettatore arriva ai posti assegnati nella cavea, suddivisa in 5 aree orizzontali (maeniana) che riproducono classi sociali e distribuiscono il pubblico secondo un ordine gerarchico. Il più vicino i posti dell’arena, i più prestigiosi, sono riservati ai senatori, i primi gradini successivi del Megnano, ai cavalieri, poi gli altri membri della società fino ai posti più alti, che Augusto destinò alle donne.

La cavea è riccamente decorata con marmi: un portico con colonne e statue circonda il podio. Anche l’ingresso alla gradinata (vomitoria) è decorato con bassorilievi; questi esposti nel Museo dei Gladiatori; raccontano la mitologia, battaglie (venationes) con bestie feroci, fasi di costruzione o festeggiamenti nell’anfiteatro.

Le vie d’accesso all’anfiteatro

Gli ingressi principali all’arena sono sull’asse lungo, Porta Triumphalis o Iovia, da dove si muovono le squadre che annunciano l’inizio del gioco, e sul lato opposto, Porta Libitina, da dove escono gli sconfitti. Ci sono anche due ingressi sul pozzo inferiore. Attraverso botole e lunghe aperture, l’arena è collegata ai sotterranei (carceres): un labirinto di corridoi con un perfetto sistema di convogliamento dell’acqua, e nicchie che corrono lungo tutto il perimetro delle mura, stupiscono i visitatori. Uno spazio sorprendente e ben conservato che ci permette di comprendere le complessità della macchina scenica Percorrere questi spazi è come visitare un museo sotterraneo, guardare frammenti di colonne, capitelli e cornici marmoree tra magnifiche rovine, immaginare fasti perduti.

Notevole è infatti la perdita di statue marmoree, tra le quali preziosi esemplari di Venere, Psiche, Adone sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e la Nike è al Museo Archeologico di Capua Antica. La funzione dell’anfiteatro mutò con l’abolizione dei munera gladiatoria banditi da Onorio nel 404 d.C.. Gli spettacoli, soprattutto le venationes, non cessarono anche dopo la distruzione operata da Genserico nel 456 d.C., come è noto da un’iscrizione rinvenuta nel 1846 come testimoniato dal restauro del 530 d.C. Tra la metà del V e il VI sec.

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La fase finale e le “recenti” trasformazioni

L’area nord-ovest del seminterrato in d.C. fu trasformata in una cappella cristiana. Nella piccola “navata” costruita con materiali esistenti, si possono ancora vedere vaghi frammenti di affreschi e volte, pavimenti decorati con lastre di marmo; un suggestivo altare poggiante su una nicchia. Le rovine del “Colosso” sono associate alla fine della storia millenaria dell’antica Capua. Il saccheggio e l’incendio doloso dei Saraceni nell’841 portarono al trasferimento della città.

A metà del IX secolo. dC, l’anfiteatro divenne la fortezza difensiva di una città quasi deserta nota come Colossum, Berolais, Berolassi, o meglio, Virilasci o Vorlasci. Dall’856 il popolo si rifugiò presso l’ansa del Volturno, dove si trovava l’antica Casilinum; poi sarebbe sorta la “Nuova Capua”, mentre l’antica città si divideva in tre borghi, detti Sant’Erasmo, San Pietro e Santa Maria Maggiore; proprio quest’ultimo, dal XVIII secolo si svilupperà la città attuale, sottolineando la sua identità storica sotto il nome di Capua Vetere. Dichiarato Monumento Nazionale nel 1822, è stato aperto al pubblico nel 1913 e nel 2013 è stata inaugurata una nuova fase per celebrarne il centenario.

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Giuseppe Manzo