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I mattoni che si autoriproducono grazie ai batteri

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Dal calcestruzzo che si rigenera quando si fessura, fino all’asfalto ricavato dalle deiezioni dei suini, passando per i mattoni fatti di urina e le tende realizzate con microalghe, negli ultimi anni l’edilizia e la scienza dei materiali vanno a braccetto nella ricerca scientifica. L’obiettivo è quello di realizzare prodotti da costruzione sempre più naturali e sostenibili, eliminando la necessità di utilizzare materiali artificiali e impattanti.

L’ultima incredibile scoperta arriva dall’Università del Colorado, dove un team di ricercatori, capitanato dall’ingegnere edile e scienziato dei materiali Wil Srubar, ha creato un materiale che può autoriprodursi grazie a dei batteri. Da un mattone ‘genitore’ è possibile cioè creare un numero di mattoni ‘figli’, senza perdere le proprie caratteristiche. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Matter e apre le porte all’uso dei Living building materials (LBMs) anche in edilizia.

Come sono realizzati i mattoni che si autoriproducono

I mattoni sono realizzati con una miscela di sabbia, acqua e una colonia di cianobatteri del genere Synechococcus, una comune classe di microbi che cattura l’energia attraverso fotosintesi. Questi microrganismi assorbono la luce solare, i nutrienti e l’anidride carbonica e producono carbonato di calcio, il composto rigido che si trova nelle conchiglie e nel cemento. Per realizzare i mattoni, i ricercatori hanno coltivato i cianobatteri in un bagno di acqua di mare artificiale, riscaldata a 30 gradi Celsius, e hanno combinato questo liquido con gelatina e sabbia.

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La gelatina è stata scelta perché, quando disciolta in acqua e raffreddata, è in grado di formare legami speciali tra le sue molecole e va quindi a rafforzare la matrice di cianobatteri. I ricercatori hanno acquistato la gelatina di marca Knox in un supermercato locale e l’hanno sciolta nella soluzione con i batteri.

La miscela è stata versata in uno stampo, dove si è raffreddata e dove successivamente si è creato un composto dalla consistenza simile al gel, il quale fa da impalcatura per una maggiore crescita batterica. Dopodiché il Synechococcus ha seminato carbonato di calcio in questa miscela gelatinosa, trasformando la sostanza appiccicosa in una sostanza mineralizzata più dura. Il risultato di questo processo è un materiale naturale e ‘vivente’ con un’apprezzabile resistenza. Infatti rispetto a un materiale simile che non contiene cianobatteri, questa miscela è più dura del 15% in termini di resistenza allo schiacciamento, ma non ha resistenza alla compressione comparabile a quella dei normali mattoni o del cemento standard. I mattoni che si autorigenerano hanno un comportamento più simile a quello di un cemento a bassa resistenza o malta indurita. Proprio per questo team di ricercatori prevede di sperimentare materiali diversi dalla sabbia con il fine di creare mattoni più resistenti.

Genitore 1 o genitore 2?

La particolarità di questi mattoni non sta soltanto nella loro già incredibile composizione biologica. La più grande scoperta è che essi sono in grado di autoriprodursi parzialmente. Questo è dovuto grazie al fatto che, se non sono completamente disidratati, i batteri continuano a crescere all’interno del mattone. E’ possibile quindi dividere un mattone completo, metterne metà in un altro stampo e aggiungere poi la giusta quantità di gelatina e sabbia.

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I batteri del pezzo originale cresceranno nel nuovo stampo e induriranno la miscela per produrre un mattone figlio completamente nuovo. Da un solo mattone ‘genitore’ è possibile creare fino a 8 mattoni ‘figli nell’arco di tre generazioni.

“Abbiamo preso un blocco genitore, lo abbiamo diviso in due ottenendo due interi blocchi. Abbiamo diviso questi due a metà ottenendone quattro e poi otto. E, teoricamente, questo processo può continuare all’infinito. “

Wil Srubar

I mattoni ‘mangiano’ anche l’anidride carbonica

L’idea di utilizzare i batteri per realizzare i mattoni che si autoriproducono porta ad un incredibile vantaggio ambientale, poiché i cianobatteri assorbono l’anidride carbonica. Il processo tradizionale di produzione del cemento invece fa il contrario, poiché richiede un calore significativo ed è infatti una delle attività umane che scarica più gas serra nell’atmosfera. Alcune stime indicano che la produzione di calcestruzzo rappresenta circa il 7% delle emissioni di carbonio in tutto il mondo.

Questi speciali mattoni rappresentano un’alternativa ecologica non solo ai normali materiali artificiali, ma anche ad altri materiali biologici usati in edilizia. Questo perché i microrganismi all’interno di questi mattoni rimangono vivi più a lungo rispetto a quelli attualmente utilizzati, ad esempio, nel cemento autorigenerante. 30 giorni dopo la solidificazione dei mattoni, dal 9% al 14% dei microrganismi all’interno dei mattoni sono sopravvissuti. In confronto, i batteri presenti nel cemento autorigenerante avrebbero avuto una vita molto inferiore nello stesso periodo di tempo.

I mattoni che si autoriproducono potrebbero essere una soluzione particolarmente interessante per aiutare le persone a costruire edifici in aree con scarso accesso alle risorse, come ad esempio installazioni militari nel deserto o insediamenti umani su altri pianeti.

“Siamo stati motivati ​​dalla costruzione di strutture in ambienti limitati dalle risorse. Se hai la luce solare, che è gratuita, CO2 e forse un po d’acqua e solo un po’ di nutrienti, in questa maniera puoi realizzare i materiali fisici che puoi usare per costruire”.

Wil Srubar

I difetti e le possibilità dei mattoni che si autoriproducono

Seppur questa scoperta abbia del sensazionale, i mattoni che si autoriproducono potrebbero avere dei limiti a detta dello stesso Wil Srubar. Ad esempio i ricercatori hanno notato che i batteri prosperano solo quando l’aria intorno a loro contiene abbastanza acqua. Le ricerche infatti sono avvenute mantenendo il materiale con un’umidità relativa del 50% e per questo c’è da studiare il suo comportamento anche in altre condizioni.

Ci sono però possibilità intriganti che stimolano i ricercatori, come il fatto che i diversi tipi di batteri possano consentire ai mattoni viventi di interagire con l’ambiente circostante. Ad esempio si potrebbero inserire all’interno di mattoni più batteri con diverse funzionalità: batteri che auto-curano il materiale o batteri che rilevano le tossine presenti, cambiando colore e fluorescenza sotto certi tipi di luce.