Ponti ad arco e come studiarli
Se vi dicessimo che esiste, in una remota regione del Peloponneso, un ponte ad arco in pietra ancora utilizzabile risalente a circa 3300 anni fa ci credereste? Probabilmente no, e come darvi torto d’altronde, sembrerebbe proprio una di quelle notizie da pesce d’Aprile. Questa volta però niente burle, perché un’opera del genere esiste davvero!
Fra la città di Epidauro e le rovine del vecchio centro abitato di Tirinto, infatti, potreste imbattervi nell’antico ponte miceneo di Kazarma. Realizzato con massi ciclopici, è alto circa 4 metri e presenta una luce di poco più di un metro. Una luce modesta in effetti, ma quel piccolo varco ha più di tre millenni d’età, e per complessità tecnico-ingegneristica equivale alla realizzazione odierna del Ponte sullo Stretto di Messina.
Andando più avanti nella storia, in giro per i territori appartenenti al fu Impero Romano è possibile trovare tantissime testimonianze di ponti (o acquedotti) ad arco ancora perfettamente integri. E, spesso e volentieri, ancora in esercizio, con carichi da traffico decisamente superiori a quelli del tempo. Vere e proprie opere d’arte senza tempo, ancora oggi in grado di affascinare chi li ammira per perizia tecnica e maestria esecutiva.
Con l’epoca dei ponti ad arco in ferro/acciaio l’ingegneria fa un salto in avanti notevole sia a livello dimensionale che tecnico, con la realizzazione di veri e propri capolavori. Insomma, quali che siano modalità costruttiva e materiale impiegato, un ponte ad arco connubia perfettamente eleganza estetica ed ottimizzazione nello sfruttamento dei materiali da costruzione.
Andiamo dunque a scoprire principali schemi statici e tipologie strutturali dei ponti ad arco, fra i capisaldi ingegneristici della storia dell’uomo.
Il comportamento strutturale dei ponti ad arco
Analogamente a quanto fatto per travate reticolari, ponti strallati e ponti sospesi, analizziamo i principi strutturali dei ponti ad arco. L’arco è, grazie alla sua forma, una struttura che sopporta i carichi verticali mediante un meccanismo resistente nel quale risultano predominanti gli sforzi normali (di compressione o di trazione in base alla conformazione della struttura). Nella storia delle costruzioni l’arco è stato e continua ad essere la struttura resistente per eccellenza. E’ lecito dire che un arco sia forma geometrica trasmutata in capacità resistente.
Di fatto è la prima e più grande invenzione dell’umanità in campo strutturale. L’idea, per i ponti ad arco “primordiali” (ossia quelli in pietra e legno) è assolutamente geniale: sfruttrare un insieme di elementi ad asse curvilineo o poligonale che siano essenzialmente soggetti a compresisone, riducendo i momenti flettenti e le azioni taglianti a valori pressochè trascurabili. L’optimum per materiali non resistenti a trazione (come sono appunto quelli lapidei). Per ottenere questo risultato la forma dell’arco deve tendere alla curva delle successive risultanti delle forze agenti sull’arco stesso, ovverosia all’antifunicolare dei carichi. Il rispetto delle condizioni di equilibrio dell’antifunicolare fa sì che gli estremi di un arco di questo tipo esercitino anche una reazione orizzontale (che va assorbita per garantire stabilità strutturale).
Da qui in poi la struttura dei ponti ad arco si è evoluta con numerose varianti. A partire dai ponti arco-trave tipo Maillart, in cui l’arco presenta rigidezza minima rispetto all’impalcato per ridurre i momenti flettenti. Si passa poi agli archi tesi in acciaio, il cui comportamento strutturale è il medesimo ma si sfrutta la simmetria meccanica del materiale evitando l’instabilità. Nei ponti ad arco teso in acciaio le spinte possono essere sopportate dall’impalcato, da appositi tiranti inclinati (ponti lenticolari) o da strutture reticolari.
Classificare i ponti ad arco in base allo schema statico
Dopo aver trattato il comportamento strutturale dei ponti ad arco, passiamo ad una prima catalogazione in base al possibile schema statico adottato. Le principali tipologie in questo senso possono essere:
- l’arco a due cerniere: è una struttura con un grado d’iperstaticità, in cui la curva delle pressioni presenta passaggi obbligati nelle cerniere d’estremità. L’arco a due cerniere è progettato principalmente per trasportare e distribuire carichi verticali, come il peso proprio dell’arco stesso e gli eventuali carichi aggiuntivi ad esso applicati (come quelli mobili). Esistono vari tipi di archi a due cerniere, ciascuno con la propria forma e caratteristiche uniche, tra questi archi semicircolari, archi ribassati e archi a sesto acuto. Gli archi a due cerniere possono coprire luci relativamente lunghe fornendo allo stesso tempo un’eccellente stabilità strutturale, offrendo anche un design esteticamente gradevole e possono migliorare l’aspetto visivo di una struttura. L’iperstaticità, d’altronde, comporta una sensibilità a cedimenti orizzontali delle sezioni d’imposta, variazioni termiche, fenomeni reologici dei materiali ed deformazioni delle centine;
- l’arco a tre cerniere: l’aggiunta di una cerniera interna rende questa struttura isostatica. Ciò comporta che la linea delle pressioni passi necessariamente per le tre cerniere. Ciò rende questo tipo d’arco molto performante nei confronti dei carichi permanenti, non altrettanto per quelli variabili (mobili). L’isostaticità, in compenso, rende tale struttura insensibile a cedimenti vincolari, variazioni termiche e fenomeni reologici dei materiali;
- l’arco incastrato: in questa struttura, tre volte iperstatica, la curva delle pressioni non presenta passaggi obbligati. Essendo una struttura più rigida delle precedenti, ben si comporta nei confronti dei carichi mobili (meno coi carichi permanenti). La rigidezza lo rende suscettibile a variazioni termiche, fenomeni reologici e cedimenti vincolari.
La posizione dell’impalcato nel ponte ad arco
Un’altra classificazione dei ponti ad arco è relativa alla posizione dell’impalcato rispetto all’arco stesso. Se per le altre tipologie costruttive, infatti, le forme strutturali generali sono più o meno fisse, così non è per i ponti ad arco, i quali presentano appunto molte variazioni al riguardo. In passato, coi ponti ad arco in muratura, qualora la quota dell’impalcato rispetto all’imposta dell’arco non fosse sufficiente a garantire una freccia (franco minimo in chiave) sufficiente, si realizzava la cosiddetta “schiena d’asino”. Di fatto si tratta di una doppia pendenza data alla struttura dall’imposta alla chiave per permettere il sottostante transito (veicolare, pedonale, ferroviario, ecc.). Un bellissimo esempio di questo tipo di applicazione è il Ponte del Diavolo di Lucca.
La tipologia di ponti ad arco appena discussa rientra nella categoria dei ponti a via superiore, in cui l’impalcato si trova sopra l’arco. La maggior parte dei ponti ad arco (in genere tutti quelli in cui l’arco lavora a compressione, dunque tutti quelli in pietra, muratura e calcestruzzo) appartengono a questa tipologia.
La soluzione opposta, adottabile per archi tesi (dunque tipicamente quelli in acciaio), è quella dei cosiddetti ponti ad arco a via inferiore, con impalcato posto sotto l’arco. Generalmente questi ponti presentano arco ed impalcato connessi, così che le spinte orizzontali vengano assorbite da quest’ultimo sotto forma di trazione. Questi ponti sono chiamati anche tipo bowstring o Langer (in italiano “a spinta eliminata”).
Un’ultima possibilità è quella dei ponti ad arco a via intermedia, in cui l’impalcato si trova ad una quota intermedia fra imposta e chiave dell’arco. Un esempio di questo tipo di opera è il recente Ponte del Papa di Genova.
Non mancano poi le particolarità, come il Ponte Dom Luis I di Oporto, ponte ad arco sia a via inferiore che superiore!
I maggiori principi costruttivi dei ponti ad arco
L’arco resiste per sua forma solamente una volta che questo viene interamente completato. Perciò la maggior difficoltà costruttiva dei ponti ad arco sta proprio nella realizzazione dell’arco principale stesso. Quale che siano le procedure costruttive, le strutture parziali che vengono messe in opera nelle varie fasi non sono archi completi, e tenderanno quindi a dei comportamenti strutturali differenti.
Le strutture temporanee necessarie per la costruzione dei ponti ad arco spesso rappresentano la quota parte maggiore dei costi dell’opera. Questo pone conseguentemente dei limiti all’impiego dei ponti ad arco per grandi luci.
Volendo passare in rassegna i più usuali metodi costruttivi dei ponti ad arco, si hanno:
- costruzioni su centina: è il metodo costruttivo per antonomasia, impiegato da tempi immemori per la realizzazione degli archi in pietra. Si tratta di un’impalcatura (palizzate in legno o sistemi tubolari metallici) su cui appoggiare i vari conci dall’imposta alla chiave, fino a che l’arco completo potesse autosostenersi. Uno dei problemi è rappresentato dal disarmo delle centine, che può generare sforzi di flessione maggiori di quelli sopportabili dall’arco;
- costruzioni con centina autoportante: evoluzione della precedente, si realizza un arco metallico che funge da armatura per il sovrastante arco in calcestruzzo. E’ attualmente poco utilizzata pergli alti costi esecutivi;
- costruzioni per sbalzi successivi:di fatto l’unico metodocostruttivoadatto a ponti di grande luce non di tipo sospeso, consiste nell’assemblaggio dell’arco per conci sostenuti da stralli temporanei ancorati a torri provvisorie (o da derrick posti sull’arco stesso) dall’imposta alla chiave;
- costruzione per rotazione di due semiarchi: simile al precedente, in cui l’arco è già assemblato in due semimetà che vengono poste in opera facendole ruotare atorno alle cerniere inferiori fino a connettersi in chiave.
Vi sono poi altri metodi meno usati quali la costruzione mediante cavi sospesi o tramite assemblaggio fuori opera e successivo varo.