Il nuovo orizzonte aperto dalle leggi in materia ambientale, che via via verranno approvate nel prossimo futuro, pone al professionista numerosi quesiti prima d’oggi sconosciuti: il reperimento a chilometro zero delle materie prime, la riduzione dei rifiuti in cantiere, l’utilizzo di prodotti biocompatibili e/o riciclati e la progettazione di opere flessibili ed efficienti energeticamente. Queste e molte altre domande possono trovare soluzione con alcune tecniche, come la prefabbricazione e l’assemblaggio a secco.
L’assemblaggio a secco è il primo metodo usato dagli antichi per realizzare opere architettoniche e militari, accantonato per secoli con l’invenzione delle malte. Durante la seconda rivoluzione industriale viene riscoperto grazie all’ampio uso della ghisa e alla produzione dei primi elementi prefabbricati. Come è noto l’assemblaggio a secco risulta essere fondamentale per la posa in opera di strutture in acciaio, alluminio e legno: come può però questa tecnica costruttiva risolvere i quesiti inizialmente posti?
La prefabbricazione permette da un lato di avere un controllo sulle prestazioni di ogni materiale, essendo marcato e certificato; dall’altro di ridurre lo spreco e la produzione di rifiuti che, oltre che un danno all’ambiente, sono una delle fonti di spesa maggiori. Ad esempio non usare l’acqua per l’assemblaggio significa non solo abbattere drasticamente costi e tempi ma, così facendo, il cantiere ha anche bisogno di un numero ridotto di personale e consente la contemporaneità di più operazioni. Il vantaggio maggiore è sicuramente dato dalla possibilità che hanno le industrie di riciclare i prodotti, realizzando moltissime tipologie, ad esempio, di isolanti, rivestimenti ed altro ancora.
La prefabbricazione però ha anche degli svantaggi, tra cui il costo maggiore delle materie prime, l’esigenza di personale maggiormente specializzato e un’organizzazione avanzata del cantiere. Questi fattori negativi però potranno essere ridotti grazie ad un inevitabile processo di automatizzazione del processo edilizio, con l’evoluzione della progettazione integrata e delle tecnologie usate in cantiere.
Sono sotto gli occhi di tutti le profonde ferite che periodicamente l’Italia deve risanare con molta fatica. Il tema della verifica sismica ormai è centrale per ogni professionista e le NTC 2018 lo dimostrano. L’azione sismica agisce sulla massa degli edifici: più questa è grande, maggiore sarà il periodo di oscillazione Ͳ. L’uso dell’assemblaggio a secco permette di ridurre il peso unitario dell’opera riducendo così anche l’azione orizzontale agente in testa all’edificio. La più grande potenzialità di questo metodo di posa in opera è senz’altro la possibilità di manutenere e modificare i fabbricati velocemente e con estrema facilità, riducendo il quantitativo di rifiuti e l’esborso monetario.
Si avranno così costruzioni non solo versatili e mutevoli ma che, diversamente da quanto accade oggi nelle nostre città, in caso di danno, potranno essere riparati velocemente non obbligando alla demolizione. I centri urbani sono specchio della società che le vive, e questo può essere riscontrato ovunque oggigiorno. A parte il fenomeno tutto italiano dei centri storici quasi immutabili, l’evoluzione delle società moderne ha portato alla nascita di necessità sempre nuove e diverse di città in città, e per questo il futuro sarà sempre più segnato dalla prefabbricazione.
Esistono esempi di ingegneri ed architetti che già da tempo hanno abbracciato questa filosofia, e tra i primi ci sono Norman Foster, Renzo Piano e Peter Rice. Il primo dei tre ha mostrato questa idea in molte realizzazioni, esempio recente l’Apple Park di Cupertino, progetto che abbiamo illustrato in un articolo dedicato. Il suo studio Foster+Partners la applica in quasi tutti i progetti, realizzando opere visibilmente high-tech. Renzo Piano da sempre sostiene la prefabbricazione e la combina con un altro concetto che sarà sempre più attuale, ovvero il Genius Loci. Letteralmente “Genio del luogo”, cioè il rispetto della tradizione culturale, artistica e architettonica del posto in cui si realizza un manufatto, non riguarda soltanto l’estetica dell’architettura ma anche i materiali usati; per l’architetto genovese è assurdo usare materiali che non siano autoctoni e presenti nella tradizione edilizia del luogo in cui si interviene. Nell’ottica di riduzione della CO2 usare materiali prodotti a pochi chilometri di distanza dal cantiere è sicuramente una soluzione che verrà sempre più abbracciata nel prossimo futuro. Peter Rice invece è un ingegnere che ha realizzato molte opere, prima con il famoso studio Arup poi in proprio, caratterizzate da posa in opera a secco, dimostrando quanto sia possibile combinare conoscenza tecnica-ingegneristica con gusto architettonico.
La vera sfida sarà quella di applicare alle opere minori queste idee, processo molto più lento e tortuoso. Uno dei pesi che gravano sulle nostre città è la speculazione edilizia avvenuta tra gli anni ‘60 e ’80, nella quale si è sviluppata una malsana cultura del cemento armato sia nelle menti dei professionisti, sia negli occhi delle persone. Infatti, ad esempio, per l’opinione pubblica i tamponamenti fatti con profili in alluminio, come le tramezzature, sono addirittura “insicuri”, legando il concetto di stabilità esclusivamente al mattone e al “cemento”. Questa diffusa idea del mattone, è stata già denunciata abilmente da Italo Calvino ne La speculazione edilizia, descrivendo le tipologie edilizie che in quegli anni erano più utilizzate. In sostanza, pur riconoscendo un valore tecnico importante alle pratiche sopra descritte, il giovamento dell’utilizzo della prefabbricazione, accompagnata dall’assemblaggio a secco, è soprattutto economico, culturale e ambientale. Tuttavia il cambiamento parte dai professionisti e dalle opere minori, poiché l’architettura non consta solo delle grandi opere ma “comincia quando due pietre vengono sovrapposte accuratamente” (L. M. Van Der Rohe).